14/04/2013
La “Gallant 2”.
Una tragedia senza verità. Dopo 22 anni. Oggi si ricorda il tragico incidente del 10 aprile 1991: alle 22,27 di quella sera il Moby Prince andò contro l’Agip Abruzzo: 140 vittime, 1 solo sopravvissuto. Angelo Chessa, figlio del comandante del Moby Ugo, perse entrambi i genitori nel rogo del traghetto.
Lo raggiungiamo a Livorno, dove ogni anno si reca a rendere omaggio a papà e mamma. Ma quest’anno lo fa con una consapevolezza diversa: in questa storia senza verità ora ci sono alcuni punti fermi, che gli stessi Chessa (Angelo e il fratello Luchino) sono riusciti a mettere, con l’aiuto del noto studio ingengneristico Bardazza (lo stesso che, su mandato della Procura di Milano, ha ricostruito la dinamica della strage di Linate).
Dopo tre anni di lavoro, è stata messa a punto una perizia che ricostruisce su base scientifica alcuni degli accadimenti di quella sera e svela nuove verità sulla dinamica dell’incidente.
– Quali sono le novità contenute nella perizia?
«Lo studio Bardazza ha utilizzato nuove tecnologie applicate ai documenti esistenti, nastri audio, video, fotografie. Ed è stato fatto un lavoro intenso di analisi. Emerge un fatto clamoroso: tutte le valutazioni tecniche su cui si basa la decisione, presa nel 2010, della Procura di Livorno di archiviare il caso sono opposte ai fatti».
– Ad esempio?
«Il primo. L’Agip Abruzzo si trovava in una zona proibita all’ormeggio, in una posizione diversa da quella indicata dal comandante Renato Superina negli interrogatori. Il dato è stato ricavato da calcoli e analisi complesse, ma è ora un dato certo. Un secondo elemento di enorme importanza è stato tratto, poi, dall’analisi di un filmato, girato da Nello D’Alesio, che inizia cinque minuti dopo la collisione: in quelle immagini, dove non ci sono né nebbia né foschia, la petroliera aveva la prua opposta a quella dichiarata. Era rivolta verso Sud, in direzione di vento, come peraltro indicano le norme generali di navigazione».
– Questo significa che il Moby Prince non va in collisione mentre è in uscita dal porto, ma mentre vi sta rientrando.
«La perizia si è concentrata sulla posizione esatta della petroliera. Il resto è conseguenza evidente. Un altro risultato importante dello studio è che finalmente si è trovata l’identità di una “imbarcazione fantasma” – la cosiddetta “nave Teresa” di cui si sente parlare nelle comunicazioni radio ma che non era mai stata identitifcata. Ebbene, si tratta della “Gallant 2”, una nave militare americana che stava trasbordando armi. Questo conferma che quella sera c’erano in corso pesanti traffici proibiti. Inoltre, siamo riusciti a spiegare l’improvviso black out dell’illuminazione dell’Agip Abruzzo poco prima della collisione: lo spegnimento dell’intero sistema d’illuminazione della petroliera si può spiegare con un guasto nella sua centrale termica. È un fatto che conferma quanto riferirono due testimoni, Thermes e Olivieri. Un black out, quindi, che non ha nulla a che vedere con con la collisione e l’incendio che ne è seguito, ma che deve essere spiegato piuttosto con l’attività che stava svolgendo in quel momento la petroliera».
– Ora che farete?
«Presenteremo la perizia alla magistratura. Crediamo che di fronte a questi esiti si debba indagare ancora sulla tragedia del Moby Prince, e crediamo che l’ipotesi di reato dovrebbe essere quello di strage».
– Il presidente del Senato, Grasso, ha annunciato il suo impegno a far partire una commissione parlamentare d’inchiesta sui grandi misteri italiani.
«Ci fa ben sperare. Il caso-Moby Prince è senz’altro uno dei capitoli più oscuri della nostra storia. E credo che i buoni rapporti che ci sono in questi momento fra Italia e Stati Uniti – come conferma anche la grazia concessa dal Presidente Napolitano al colonnello Usa Joseph Romano, condannato in relazione al rapimento di Abu Omar – potrebbero spingere le nostre istituzioni a chiedere una serie di chiarimenti al governo di Barak Obama sulle attività svolte da quelle navi americane quella sera del 10 aprile 1991».
– Dopo 22 anni si può ancora ottenere verità?
«Ne siamo convinti. Anche perché quello che oggi dimostriamo con la perizia, lo dicevamo già nel 1994, perché già allora c’erano forti indizi per sostenere che la tragedia del traghetto era collegata all’attività militare e di traffico d’armi in corso quel giorno e nei giorni precedenti».
– Non vi siete mai arresi.
«Mai. C’è chi si rassegna di fronte a poteri così forti. Io e mio fratello non intendiamo farlo. Riusciremo a ottenere la verità giudiziaria, e anche quella storica. Questa vicenda non la lasceremo finire nell’oblio, come in tanti hanno cercato di fare in ogni modo».
Luigi Grimaldi - Luciano Scalettari