La politica non sa dov'è Torino

Voci rotte e confuse a sinistra, a destra si attacca la magistratura. Intanto alla Fiat si gioca il futuro dell'industria e della classe operaia.

12/01/2011
Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat.
Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat.

Il referendum sul contratto di Mirafiori è uno spartiacque della storia italiana, non solo operaia. Chiude la fine di un’epoca e rimanda al suo inizio, ovvero alla stagione di lotte operaie e sindacali del Sessantanove, poi continuata attraverso lo Statuto dei lavoratori, gli Anni di piombo e la sconfitta nelle fabbriche del terrorismo, la scala mobile, il punto unico di contingenza, la marcia dei quarantamila quadri. Una storia italiana che sempre ha visto come palcoscenico Torino e Mirafiori. Con il referendum di domani si chiude l’autunno caldo, una stagione durata oltre 40 anni che ha attraversato l’Italia che lavora, non solo quella operaia.

     Non è difficile capire perché il referendum va oltre la ratifica di un accordo aziendale che vede i dipendenti Fiat soggetti a nuove regole di turnazione e di regolamentazione della presenza sindacale in azienda. Quello che è in gioco non riguarda solo i dipendenti della Fiat e dell’indotto, bensì la nuova condizione della classe operaia italiana, sottoposta alla sfide della globalizzazione, entrate nel sangue e nella carne di chi lavora alla catena di montaggio.

     La globalizzazione ha imposto nuove categorie interpretative del lavoro post-fordista e nuove sfide per poter competere con i mercati dell’Est e con le potenze economiche emergenti, come la Cina, l’India o il Brasile. Dall’esito del referendum uscirà un nuovo modello di lavoratore, paradigmatico per tutta l’Azienda Italia, piccole e medie industrie comprese. Cambierà la vita in fabbrica. Avvicinerà due mondi, quello del sindacato americano e quello occidentale, che non si erano mai incontrati. Fisserà nuove regole di dialogo tra le parti sociali.

     Fa impressione il disinteresse e lo smarrimento del mondo politico di fronte ai giorni di Mirafiori, a destra come a sinistra. Il referendum ha prodotto sul Pd e sul Centrosinistra la solita afasia o il solito concerto stonato di voci discordanti (a parte qualche presenza di fondo puramente strumentale ai cancelli di Mirafiori), con una sostanziale presa di distanza da parte di quello che ha ereditato tra l’altro le radici del “partito dei lavoratori” di Berlinguer. Ma il premier del Centrodestra non trova di meglio, in questi giorni cruciali, che attaccare ancora una volta la magistratura. Un spettacolo avvilente per il futuro del Paese.

Francesco Anfossi
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Postato da Vincenzo Alias Il Contadino il 15/01/2011 11:30

Pensaci Giacomino della tuta blu: de “ Io non ci sto ” Che cosa avesti fatto senza lavoro? Capisco che la Sinistra ha lavori “ C’est facile” ma meglio aver Salvato e l'Azienda e il lavoro, però capisco i timori di non fidarsi di questi Politici Sinistri e Cgil che ci ha fregato per 60 anni: pensioni e salari da fame, forse non era priorità? Invece, cchisti hanno preferito fare Politica ed aprire Partitini per incassare miliardi, altro “ pane e cicoria ” dimenticando i 6,5 mln€ incassati per Rimborsi Elettorali! http://vincenzoaliasilcontadino.wordpress.com/2011/01/15/giustizia-dal-92-freno-a-mano-della-democrazia-ed-

Postato da Andrea Annibale il 12/01/2011 17:47

Come torinese, auspico che Torino diversifichi sempre più il lavoro e l’imprenditoria, cioè le sue fonti di ricchezza materiale. Non possiamo identificarci, noi città di Torino, solo con la Fiat e con l’indotto. Certo la perdita di Mirafiori sarebbe un colpo duro alla città. Se va a fondo la Fiat, è un grave danno per Torino ed anche un grave danno per l’immagine del Paese. Penso che la Fiat sia obbligata ad adeguarsi agli standard di produttività di Volkswagen, GM e Toyota cioè i maggiori produttori di auto al mondo. Ciao.

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