14/01/2011
Da sinistra: Giorgio Airaudo (Fiom) nel quartier generale torinese dei metalmeccanici della Cgil e Claudio Chiarle (Fim-Cisl), davanti al Lingotto, cuore della Fiat (foto di Paolo Siccardi-Sync).
Alla Fiat di Torino stanno ancora votando i 5.431 lavoratori, dei quali 453 impiegati, che sono chiamati a dire "sì" o "no" all'accordo firmato tra azienda e i sindacati Fim e Uilm (la Fiom, com'è noto, non ha voluto aderire). Le urne hanno riaperto stamattina dopo il turno di notte durante il quale avevano già votato i 200 lavoratori entrati in fabbrica alle 22 di ieri sera. Operai e impiegati del primno turno potranno votare sino alle 13. Poi toccherà ai lavoratori del secondo turno che inizieranno a esprimere il proprio voto sull'intesa alle 14.30. Spoglio a partire dalle 20 circa. Risultati in tarda serata, anche se nel caso della medesima consultazione che si era svolta nella fabbrica di Pomigliano per i risultati definitivi si era dovuto attendere la notte.
Le ragioni del "no" avevano scelto una fiaccolata in centro; quelle "sì" un incontro pubblico alla Galleria d'arte moderna. Così Torino ha vissuto la vigilia del voto con il quale i circa 5.500 dipendenti delle Carrozzerie di Mirafiori sono stati chiamati ad esprimersi sull'accordo raggiunto il 23 dicembre scorso tra la Fiat e tutti i sindacati, tranne la Fiom-Cgil. In attesa del responso delle urne (i seggi rimangono aperti dalle 22 di giovedì 13 fino alle 17 del 14 gennaio) le ragioni degli uni e degli altri si misurano ricorrendo a tutti i mezzi, dai volantinaggi al "camper itinerante", dagli Sms a Facebook, passando per assemblee e dibattiti radiofonici o televisivi.
La fiaccolata, si diceva. È partita mercoledì 12 gennaio da Piazza Statuto. L'hanno organizzata i metalmeccanici della Cgil. Annunciate, tra le altre, le presenze del segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, e del responsabile nazionale auto della stessa Fiom, Giorgio Airaudo. «Il lavoro non è una merce, vogliamo far sì che gli operai della Fiat non si sentano soli giacché il problema non riguarda soltanto loro», esordisce Airaudo parlando con Famigliacristiana.it. «Nessuno è riuscito fin qui a far ragionare la Fiat e il suo amministratore delegato che, com'è ormai noto a tutti, fanno ciò che vogliono, dove vogliono e come vogliono senza curarsi della coesione sociale e dei più fondamentali diritti, a partire da quelli democratici».
«Non sembri una boutade retorica da sindacalista d'altri tempi», s'accalora Airaudo: «Perché sia davvero democratico, un referendum deve contemplare due esiti possibili: il sì o il no. Qui, invece, siamo di fronte a un ricatto: o vincono i sì, e Torino tira il fiato, ma dentro le fabbriche si va a star peggio, o la Fiat chiude baracca e burattini spostando le sue produzioni in Canada o chissà dove. Come Fiom non ci stanchiamo di ripetere che questo non è solo un accordo sindacale, bello o brutto. E' qualcosa di più e di diverso. C'è quasi un eccesso di onnipotenza che non tiene conto nè del Paese nè della storia delle relazioni tra l'azienda e le parti sociali. L'intesa tocca la sfera del lavoro e dei diritti. E non è neppure iscritta in un progetto generale. La Fiat, infatti, procede a saltelli. Prima Pomigliano, poi Mirafiori, domani toccherà a Melfi e quindi a Cassino. Non si discute un Piano complessivo, logico e coerente».
Nel merito, le riserve sono molte. «Le novità che l'intesa vuole introdurre peggiorano complessivamente le condizioni di lavoro», osserva Giorgio Airaudo. «Le pause passano da 40 a 30 minuti in tutto, la mezz'ora per la mensa scivola a fine turno e viene introdotta la possibilità, per l'azienda, di programmare 120 ore di straordinario obbligatorio. Sono tutte cose che aggravano la fatica e i rischi per la salute. Non dimentichiamo che gli operai addetti alle linee di montaggio sono chiamati a ripetere le stesse operazioni ogni minuto, ogni minuto e mezzo. Gambe, schiene e braccia si usurano facilmente. Su 5.500 dipendenti delle Carrozzerie, circa 1.500 hanno funzionalità ridotte. Chi ha sofferto per un tunnel carpale o per un'ernia del disco sa di cosa sto parlando».
«Per tacere infine delle due ulteriori innovazioni previste dall'accordo del 23 dicembre», conclude Giorgio Airaudo. «La prima: la Fiat ha cominciato a parlare di "assenteismo per malattia" decidendo che a regime, ricorrendo certe condizioni, dalla terza assenza in poi il primo giorno di mutua non sarà più pagato. L'azienda dice che sono ancora troppi coloro che si danno malati senza esserlo davvero. Sia chiaro che la Fiom è durissima contro gli assenteisti di professione. Vengano duramente puniti, se è provato che disertano la fabbrica privi di un valido motivo. E quando dico "duramente" so benissimo, da sindacalista, che includo l'ipotesi licenziamento. L'assenteista è un truffatore, il malato no. Come la mettiamo? La seconda novità è a nostro avviso ancora più allarmante. Se l'intesa diventasse operativa non si può più scioperare contro quanto previsto dall'accordo. Un esempio può chiarire le idee. Se un operaio o un gruppo di operai non ce la fa oggettivamente a svolgere una determinata mansione in quel determinato tempo fissato dall'azienda, oggi, in ultima analisi, può scioperare per richiamare l'attenzione sul problema. E' un diritto riconosciuto. Domani no. Potrebbe essere richiamato formalmente e dopo tre sanzioni del genere licenziato. Per tutte queste ragioni abbiamo detto no a quest'accordo».
Il fronte del sì vede una al fianco dell'altra la Fim-Cisl, la Uilm-Uil e la Fismic. Un cartellone di quest'ultima organizzazione rappresenta un operaio della Fiat di Pomigliano che stringe la mano a un operaio della Fiat Mirafiori. Entrambi sono in piedi sopra un'urna elettorale. Il primo dice al secondo: «Noi abbiamo votato sì e salvato il lavoro». L'operaio di Mirafiori risponde: «Anche noi teniamo al lavoro e voteremo sì». A caratteri cubitali lo slogan: «per il il lavoro, il reddito e i diritti votiamo sì». Nella serata del 12 gennaio, questo schieramento animerà un dibattito con la cittadinanza presso la Gam, la Galleria d'arte moderna di Torino.
Le ragioni del sì le spiega a Famigliacristiana.it Claudio Chiarle, segretario della Fim-Cisl torinese. «Il dibattito s'è fin qui concentrato su alcuni punti a scapito di altri. Si parla delle posizioni di un singolo sindacato anzichè dell'investimento, delle condizioni di lavoro, della difesa dell'occupazione esistente, dei salari. Sono argomenti che abbiamo affrontato durante la trattativa con la Fiat e che riteniamo risolti, a vantaggio dei lavoratori».
«L'accordo del 23 dicembre prevede una joint venture della Fiat con Chrysler per la produzione, a Torino, nelle Carrozzerie di Mirafiori, di auto a marchio Alfa Romeo e Jeep, con un investimento da circa un miliardo di euro», puntualizza Chiarle. «Partiamo per favore da lì, dal fatto che i 5.500 dipendenti chiamati al voto nel 2010 sono stati in cassa integrazione anche per tre settimane al mese il che, tradotto in busta paga, significa non arrivare a 900 euro, contro i 1.100-1.200 euro abituali; per tutto il 2011 andranno purtroppo avanti così. L'accordo offre loro una prospettiva, una speranza. Così come la offre agli altri 12 mila occupati Fiat di Mirafiori e ai 70 mila lavoratori dell'indotto».
«Si dice, a torto, che se quest'accordo passerà la vita in fabbrica diventerà un inferno», prosegue Claudio Chiarle. «Non abbiamo svenduto schiene, gambe e braccia. Il miliardo investito servirà a innovare le linee di montaggio secondo i parametri di fatica misurati dal sistema Ergo-Uas lo stesso già usato da Volkswagen e Toyota. Altro che schiavi! Altrove, nelle fabbriche auto dell'area Ocse le pause sono complessivamente inferiori ai 30 minuti. In Germania, dico in Germania, la mezz'ora per mangiare o non è retribuita o è già a fine turno. La diversa turnazione (già adottata in molte parti del mondo industrializzato) porterà a regime 300 euro lordi in più al mese. Chi, come la Fiom-Cgil, oggi si proclama paladina di accordi e norme, si dimentica che dal 2001 non ha più firmato un accordo nè ha contribuito a definire una norma. Di più: si trincera dietro l'intesa del 1993 che allora non riconobbe».
«La concorrenza non l'abbiamo inventata noi; dobbiamo metterci in condizione di vincerla», conclude Chiarle. «Dal 2004 il potente sindacato dei metalmeccanici tedeschi, l'Ig metall, firma intese più severe rispetto a quella firmata da noi, per Mirafiori. Così ha fatto di recente anche il sindacato americano dell'auto, la Uaw. Per carità, rinunce (qualcuna a tempo, altre no) sono state fatte. Ma là si ricomincia addirittura a parlare di nuovi ingressi. Secondo alcuni organi di stampa tedeschi, ad esempio, entro il 2015 la Volkswagen potrebbe fare 50.000 assunzioni, di cui 5.000-6.000 negli stabilimenti tedeschi. Se passano i sì c'è la fondata speranza che qualcosa del genere potrà avvenire un giorno anche a Mirafiori e negli altri stabilimenti Fiat».
Alberto Chiara