Afghanistan, rosso sangue

Le nostre Forze armate piangono il 36° militare morto in missione. Ci si interroga se e quanto rimanere. In Italia. Ma anche in Francia. Mentre Gran Bretagna e Australia...

19/01/2011
Il caporal maggior degli alpini Luca Sanna ucciso a Bala Murghab il 18 gennaio 2011.
Il caporal maggior degli alpini Luca Sanna ucciso a Bala Murghab il 18 gennaio 2011.

«La situazione è in forte evoluzione e noi riteniamo,  stando a quanto riferiscono i comandi militari, che questo sia frutto dell'avanzata della missione internazionale». Il ministro della Difesa Ignazio La Russa commenta così le notizie luttuose proveninenti dall'Afghanistan. Il 18 gennaio, il caporalmaggiore Luca Sanna, un alpino dell'ottavo reggimento della Brigata Julia, è stato ucciso nella base settentrionale di Bala Murghab. Originario di Oristano, in Sardegna, sposato da pochi mesi, Sanna aveva 33 anni: era già stato in missione in Afghanistan. A far fuoco è stato un afghano che indossava l'uniforme dell'esercito regolare di Kabul. Un terrorista travestito, protagonista di un blitz, o un infiltrato secondo un preciso piano che punta a ottenere effetti devastanti nel medio-lungo periodo? La risposta la forniranno le indagini in corso. Al momento si sa solo che dopo aver fatto fuoco  ed aver ferito gravemente un altro militare italiano (il caporale Luca Barisonzi, anch'egli dell'ottavo reggimento della Julia), l'afghano è riuscito a dileguarsi.

      «Fintanto che nel Gulistan o a Bala Murghab non c'erano militari occidentali o afghani, gli "insorti" non avevano motivo di attaccare», ha proseguito La Russa. «Ora che noi abbiamo occupato l'area, mantenuto gli avamposti, consentito a migliaia di  civili afghani di rientrare nei loro villaggi, è chiaro che chi non vuole la stabilizzazione reagisce come un lupo ferito e attacca disperatamente in tutti i modi». Il ministro ha ribadito che, «mentre da un lato è diminuita la minaccia costituita dagli Ied, gli ordigni esplosivi improvvisati, per tutta una serie di contromisure prese, dall'altro lato è aumentata la minaccia rappresentata dagli scontri a fuoco con armi leggere» e dagli attacchi agli avamposti, «come il 18 gennaio, quando si è avuto una sorta di attentato che ricorda da vicino quello dei kamikaze, anche se in questo caso l'attentatore è rimato vivo ed è riuscito ascappare», dopo aver colpito «in maniera proditoria».

    «Gli indirizzi che ho dato», ha spiegato ancora La Russa, «è che bisogna sollecitare contromisure adeguate. Voglio sapere nei dettagli le condizioni in questi avamposti di pochi metri quadrati, dove gli italiani passano forse un numero troppo lungo di giorni, con un aiuto da parte dei soldati afgani che nel caso specifico è stato l'opposto di un aiuto. Si può discutere sulle modalità di questa nuova fase, come contrastare al meglio una minaccia che è cambiata». Il ministro s'è impegnato a sentire telefonicamente il generale Petraeus, comandante della missione Isaf, per «ribadire la necessità che anche nell'ovest dell'Afghanistan, dove sono schierati i militari italiani, vi è lo stesso indice di pericolosità dell'Helmand e che quindi ogni contromisura presa lì deve essere prevista come minimo anche per la nostra area», dove,  comunque, nonostante i pericoli, «è incredibile il livello del morale dei nostri ragazzi».

      Sono circa 4.000 i militari italiani che partecipano alla missione Isaf in Afghanistan.  La cifra esatta la fornisce l'Alleanza atlantica che nel suo sito ufficiale (www.isaf.nato.int)  ospita gli ultimi dati, aggiornati al 14 dicembre 2010. L'Italia, con 3.770 soldati schierati, risulta avere il quinto contingente della coalizione, dopo quelli di Usa (90.000), Regno Unito (9.500), Germania (4.877), Francia (3.850) e prima  dei contingenti  canadesi (2.913), turco (1.815), romeno (1.664) e spagnolo (1.505).  Per quanto riguarda l'Italia si tratta del numero massimo fin qui raggiunto. Nei prossimi mesi, a detta delle fonti ufficiali,  ci sarà un graduale disimpegno.

    La quasi totalità degli italiani - una piccola quota di un centinaio di militari è schierata a Kabul nella sede del Comando della missione  Isaf  - si trova nella regione occidentale del Paese: ad Herat vi è la sede  del Comando regionale Ovest di Isaf. Sotto la  nostra responsabilità c'è un'area grande quanto il Nord Italia, composto dalle quattro province di Herat, Badghis, Ghowr e Farah. Al comando del generale Marcello Bellacicco, che guida la brigata Julia, c'è un contingente di militari provenienti da 12 nazioni. La componente principale delle forze nazionali è costituita da militari dell'Esercito inquadrati nella Brigata alpina Julia; è presente inoltre un significativo contributo di uomini e mezzi della Marina m ilitare, dell'Aeronautica, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. Ad Herat c'è anche un team di ricostruzione provinciale (Prt) che ha il compito di sostenere il processo di ricostruzione e sviluppo insieme ad una componente civile rappresentata da un consigliere del ministero degli Esteri. Gli italiani contribuiscono, infine, all'addestramento delle forze di sicurezza afgana.  Con il militare ucciso a Bala Murghab salgono a 36 le vittime italiane dall'inizio della missione Isaf in Afghanistan. Di questi, la maggioranza è rimasta vittima di attentati e scontri a fuoco, altri invece sono morti in incidenti, alcuni anche per malore ed uno si è suicidato.  Il 2010 è stato l'anno più sanguinoso, con 13 vittime.

     La missione Nato in Afghanistan fa discutere l'Italia. «Ci chiediamo se serve restare», ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconii. Il Governo, ha aggiunto il premier sta valutando una «strategia per il ritorno dei ragazzi». L'imnmediato ritiro è stato chiesto da Antonio Di Pietro (Italia dei valori) e dall'ex ministro Paolo Ferrero (Rifondazione comunista). «L'ultima vittima italiana in Afghanistan riproponeil problema dell'azione delle nostre truppe in quel paese. Siamo certi che il nostro contingente stia rispettando ilmandato assegnatogli dal Parlamento? Non dimentichiamo che questo mandato è molto diverso da quello assegnatoai militari inglesi e americani». Lo dichiara in una nota Pino Arlacchi, eurodeputato Pd e Relatore per il Parlamento europeo sulla nuova strategia dell'Ue in Afghanistan.

     Ma si dibatte anche all'estero. In Francia, ad esempio, esponenti di maggioranza e opposizione chiedono un'accelerazione del ritiro dall'Afghanistan. L'ex premier francese Dominique de Villepin, principale rivale di Sarkozy nello schieramento di centrodestra, e un deputato influente dell'Ump, il partito di maggioranza, Axel Poniatowski, hanno auspicato che si stringano i tempi per il ritiro delle forze francesi in Afghanistan. «Serve un calendario più stretto affinchè la nostra presenza militare in quel luogo non sia più una presenza che appare come forza di occupazione», ha detto ai microfoni di radio Europe 1 Villepin, oggi leader del movimento Republique Solidaire (Rs). Secondo Poniatowski «dalla prossima estate bisognerebbe già potere assistere a un ritiro di alcune forze internazionali». L'ex premier socialista Laurent Fabius, da parte sua, si augura che venga aperto al più presto «un dibattito sull'impegno francese in Afghanistan». Secondo un sondaggio dello scorso luglio, meno un terzo dei francesi (29%) è favorevole all'intervento militare della Francia in Afghanistan, il 70% è contrario.

      I ministri degli Esteri e della Difesa di Gran Bretagna e Australia hanno infine riconosciuto che l'impegno di guerra in Afghanistan, per i primi 10 anni, è stato carente sia dal punto di vista del personale che da quello dei mezzi impegnati,
e che solo di recente le risorse della coalizione sono state all'altezza del compito. L'esplicita valutazione è emersa dai colloqui ministeriali tra Gran Bretagna e Australia (Aukmin), a cui hanno preso parte a Canberra i ministri australiani degli Esteri Kevin Rudd e della Difesa Stephen Smith con i colleghi britannici William Hague e Liam Fox. 
      

    

  
     

         
                             





Alberto Chiara
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