30/01/2012
Monsignor Vincenzo Paglia, che presiedei funerali di Oscar Luigi Scalfaro nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, a Roma (foto Vision).
“Illustre uomo cattolico di Stato che si adoperò per la promozione del bene comune e dei perenni valori etico-religiosi cristiani propri della tradizione storica e civile dell’Italia”. Benedetto XVI definisce così Oscar Luigi Scalfaro nel telegramma di condoglianze inviato alla figlia, mentre in quello inviato al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo ricorda come “Fedele servitore delle istituzioni e uomo di fede”.
“Scalfaro era esattamente così”, aggiunge monsignor Vincenzo Paglia, che oggi presiederà i funerali nella Basilica di Santa Maria in Trastevere a Roma. Amico di lunga data, monsignor Paglia parla di Scalfaro come “un grande cristiano e anche un grande italiano. A me ha fatto impressione ieri, quando sono giunto al suo capezzale dove riposava – più che morto sembrava si fosse addormentato – il suo volto. Mostrava quel suo sorriso tipicotra il sereno l’acuto e l’ironico. Poi ho spostato il mio sguardo sul comodino e c’era la corona del rosario, la Bibbia, le fonti francescane e la Costituzione. In questo c’è tutto Scalfaro. C’è il ragazzo che entra in politica costretto dal suo vescovo il quale gli disse, nel 1945, “Oggi la prima linea è la politica”. E lui, giovane d’Azione cattolica, fu mandato con questa tensione a interessarsi del Paese.
L'ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi (a sinistra), sua moglie Franca Pilla e Oscar Luigi Scalfaro nella basilica di Santa Emerenziana, durante i funerali di Stato del senatore a vita Paolo Emilio Taviani (foto Ansa).
Un mandato al quale è sempre stato fedele...
«Sì, Scalfaro si è sempre interessato del Paese, non di se stesso. Una grande lezione. Ultimamente mi ha raccontato un episodio che mi ha colpito e che stasera racconterò nell’omelia: lui aveva 27 anni e partecipava al mattino ai lavori parlamentari e al pomeriggio ai lavori per la scrittura della Costituzione. “Quel giorno”, mi disse, “appresi una lezione che non ho più dimenticato: la mattina vidi questi deputati delle diverse appartenenze politiche scontrarsi - e non solo a parole- sui testi di legge che dovevano essere redatti e il pomeriggio, come se il mattino non fosse esistito, ritrovarsi assieme con un’unica voglia, con un’unica passione, quella di scrivere una Costituzione che risollevasse il Paese dalla tragedia della guerra. Lì ho capito cosa volesse dire il senso dello Stato al di là dell’appartenenza politica».
Come è nata la vostra amicizia?
«L’amicizia è nata perché lui un giorno scelse di venire a messa a Trastevere, a Santa Maria, e da allora non se ne è più allontanato. È un’amicizia nata sui banchi della Chiesa, sulla partecipazione alla messa domenicale alla quale lui veniva stando in mezzo alla gente. Era uno del popolo, godeva dell’affetto e della simpatia dei trasteverini che lo vedevano partecipare con loro alla messa e di lì in poi si è approfondito anche un rapporto con la comunità».
Cosa vi diceva?
«Ricordo ancora – erano gli inizi degli anni Novanta – un momento difficile per il Paese e lui venne a Sant’Egidio e cominciò a parlare. Voi avete fatto la pace in Mozambico, voi state lavorando per il Kossovo, voi state portando sollievo in America Latina, voi avete fatto un’azione pacificatrice per tanti popoli africani, voi vi state spendendo perché terminino i conflitti in Indonesia e in quel momento si fermò e ci disse ma quand’è che vi impegnate per risollevare questo nostro Paese dalla tragedia nella quale vive? Era una sorta di invito a impegnarsi per l’Italia, ma anche un invito sociale e spirituale che ci ha allietato per tanti anni e che lo ha visto partecipe anche a tanti momenti della vita della comunità. Non posso dimenticare la sua sorpresa, la sua attenzione, la sua volontà di partecipare al pranzo dei poveri che si faceva a Natale quando lui era presidente della Repubblica e mandava doni in sovrabbondanza compresa la selvaggina della tenuta di Castel Porziano perché fossero dati ai poveri da parte del Presidente».
Qualcuno diceva che era un cattolico bigotto…
«Scalfaro era un cattolico segnato dalla pietà tradizionale, senza alcun dubbio, ma c’è una profondità nella fede di chi crede davvero che va oltre le pratiche e le devozioni e scende nel cuore stesso dell’umano. Scalfaro era sceso in profondità e aveva compreso che la fede per lui – come per tutti i cristiani – è nutrirsi della compassione di Dio e spenderla per il bene di tutti e non di se stesso. Questo Scalfaro lo ha sempre fatto. E questa passione per l’uomo, per tutto l’uomo, per tutta la società lo ha reso attento alla laicità del Paese e dello Stato. Direi che questa dimensione con gli anni è cresciuta in lui e il fatto che lui non si sia mai tolto il distintivo dell’Azione cattolica non dice di un uomo bigotto, ma di un uomo che non ha mai voluto che la fede restasse fuori dal suo impegno quotidiano compreso quello della politica. Di qui il suo rigore, di qui anche le sue impennate, le sue lotte e le sue battaglie che non ha avuto timore di svolgere davanti a tutti compresi membri dell’episcopato e del clero. Diceva di aver appreso dai preti che la fede si propone e non si impone, che l’impegno del credente per via diretta lo porta a impegnarsi per la società, non c’è un salto da compiere. È per via diretta perché chi comprende la profondità dell’insegnamento cristiano sa bene che il bene di tutti deve rispettare anche la pluralità della società».
Quando vi siete visti l’ultima volta?
«Circa 15 giorni fa eravamo stati a cena insieme e con un filo di voce in un corpo già emaciato e assottigliato, ma con uno sguardo sempre ficcante e con la sua bocca sorniona e ironica fino all’inverosimile era però più felice perché aveva capito che l’Italia stava prendendo una strada certamente più prospettica, più bella, più forte. Credo che fosse più sereno».
Annachiara Valle