08/08/2011
Il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
Boston
Sabato scorso gli americani si sono svegliati con due notizie tanto brutte quanto storiche e, al contrario di quanto detto da Wolf Blitzer della CNN (e se c'è lui in onda il sabato sera già significa che è successo qualcosa di grosso), nemmeno tanto scollegate tra loro: il declassamento degli Stati Uniti, il primo dal 1917 - nella classifica mondiale di affidabilità economica dell'agenzia Standard & Poor's - e la morte di 30 militari dei corpi speciali in Afghanistan, il più alto numero di caduti americani in un solo giorno dall'inizio del conflitto. Così, dopo averle digerite a fatica, domenica mattina analisti e politici hanno riempito di commenti - che vanno dal preoccupato, al risentito, fino al catastrofico - le pagine dei giornali e i tradizionali talk show televisivi.
I democratici puntano il dito contro l'eredità di George W. Bush e l'intransigenza del Tea Party, il partito del tè, l'ala oltranzista repubblicana allergica alle tasse e alla spesa pubblica. Al punto che Howard Dean, ex segretario nazionale del Partito democratico, arriva a dire in diretta sulla CBS: "Secondo me il tè questi oltre che a berselo se lo fumano anche". I repubblicani di converso accusano i democratici e soprattutto il presidente Barack Obama di "debitodipendenza" e più in generale di fallimento su tutta la linea: "In qualsiasi settore privato avesse lavorato Obama, con questi numeri lo avrebbero già cacciato via da un pezzo", ha tuonato ripetutamente il senatore repubblicano del South Carolina Lindsay Graham nello stesso programma, interrompendo più volte (cosa che negli Usa non succede quasi mai) l'interlocutore.
Alcuni operatori finanziari al New York Stock Exchange.
E pensare che l'S&P 500 aveva indicato come primo motivo del
declassamento il clima di instabilità e polarizzazione politica. Dal canto suo, la Casa Bianca se la prende direttamente con l'agenzia di rating
additandole un errore di conteggio di 2.000 miliardi di dollari, mentre
a soffiare sulla polemica ci si mette anche la Cina, titolare di circa
il 40% del debito USA, che, nonostante il punteggio più basso, si
permette di fare la predica invitando gli americani a fare, da ora in
poi, il "passo secondo la gamba".
E tra le tante previsioni (dall'apocalisse al nulla di fatto) sull'impattodel downgrade su mercati finanziari e sui portafogli dell'americano medio spicca la voce, saggia come sempre, di Thomas Friedmann sul New York Times:
"La nostra Nazione è nel mezzo di un declino", riflette, "un declino
della peggior specie, lento, abbastanza lento da farci illudere che non
si debba cambiare nulla per far sì che il nostro futuro sia come il
nostro passato". Per ora nel futuro, quello prossimo, c'è il ritorno di
30 bare avvolte nella bandiera a stelle e strisce, tanto per ricordare a
tutti, repubblicani, democratici e indipendenti, che la guerra non fa
male soltanto al rating.
Stefano Salimbeni