04/02/2011
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Il decreto sul federalismo comunale varato ieri sera tardi dal consiglio dei ministri contro il voto della Commissione Bicamerale sulle riforme che ieri lo aveva bocciato, è stato rispedito al mittente dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che dalla serata di ieri aveva fatto trapelare segnali di fortissima irritazione contro il Governo.
Bossi e Berlusconi, autori della forzatura, minimizzano, ma lo scacco è fortissimo sia sotto il profilo dei contenuti del decreto, sia, soprattutto quello politico.
Il federalismo comunale tornerà ora nelle aule parlamentari ed è facile prevedere che fra un mese (tanto ci vorrà per il nuovo iter) ne uscirà modificato nel senso delle richieste delle opposizioni sempre che Pd, Centro e Idv non ne facciano una questione politica.
Il clima attuale non incoraggia previsioni rosee, il Governo tappa una falla oggi ed un'altra se ne apre il giorno successivo. Il mercato dei parlamentari e le vicende giudiziarie del Premier hanno peraltro finito per irritare la base leghista che inonda di messaggi persino ingiuriosi gli organi di informazione della Lega. Il decreto voluto fortissimamente ieri da Bossi, imposto al resto del Governo, aveva palesemente proprio questo fine: rassicurare la base leghista dell'assoluta volontà del "Capo" di portare a casa il federalismo.
Ma la vicenda intricata di ieri scopre un lato finora sconosciuto: la debolezza di Bossi. Il leader della Lega aveva minacciato le elezioni in caso di bocciatura del federalismo. Non è andato fino in fondo, almeno fino ad oggi, stretto fra l'esigenza di puntellare un Premier ormai indifendibile e screditato persino nella base leghista, e la necessità di dimostrare alla propria base di aver perso la rotta. La famosa "quadra" questa volta non è riuscita.
A questo punto Bossi rischia la spaccatura in seno al proprio partito e del resto la diversità di opinioni fra Calderoli favorevole alla prosecuzione della legislatura, e Maroni deciso a tagliar corto, aveva già mostrato segni di deterioramento nell'unico partito saldo e unito del Parlamento italiano.
Guglielmo Nardocci