"Fiat, così non va", la paura di Torino

L'azienda fa utili ma non paga i premi di risultato a chi suda in catena di montaggio. Serbia promossa, Mirafiori bocciata, le reazioni in fabbrica.

22/07/2010
Il lavoro in linea dentro lo stabilimento Fiat di Mirafiori, a Torino (foto di Paolo Siccardi/Sync)
Il lavoro in linea dentro lo stabilimento Fiat di Mirafiori, a Torino (foto di Paolo Siccardi/Sync)

Molti operai si presentano ai cancelli di Mirafiori sventolando la lettera che hanno ricevuto in questi giorni da Sergio Marchionne, in cui l’amministratore delegato della Fiat parla della «possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di grande, di migliore, di duraturo» e di «concentrare nel Paese grandi investimenti, di aumentare il numero di veicoli prodotti in Italia e di far crescere le esportazioni».

    Si sentono presi in giro due volte. Non solo, nonostante lo sciopero, non hanno ottenuto il premio di risultato di 600 euro, a fronte di un trimestre «eccezionale per il gruppo», che «ha superato quasi tutte se non tutte le attese del mercato» (sono sempre parole di Marchionne).
Una pesante tegola è piombata ora sul loro futuro. Nell’ultimo piano industriale presentato ad aprile c’era scritto che la Zero, il nuovo monovolume Fiat destinato a sostituire Multipla, Musa e Idea, sarebbe stato prodotto a Mirafiori. Invece, è arrivato il dietrofront: la produzione, 190 mila unità l’anno, partirà come previsto nel 2012, ma a Kragujevac, in Serbia. Il motivo? «Ci fosse stata serietà da parte del sindacato, l’avremmo prodotta a Mirafiori», ha affermato Marchionne, evidentemente ancora scottato dall’alto dissenso all’accordo raggiunto nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. 

    Il tutto mentre si annunciano per gli operai di Mirafiori nuove settimane di cassa integrazione al ritorno dalle ferie: dal 23 agosto al 5 settembre resteranno a casa tutti lavoratori delle carrozzerie, seguiti fino al 1 ottobre da quelli occupati sulle linee della Multipla, della Punto-Idea-Musa e della Mito. Il sindaco di Torino Sergio Chiamparino è allarmato: «All’azienda chiedo chiarezza perché non vorrei che fosse Mirafiori, che più di ogni altro ha creduto nella possibilità di un rilancio, a pagare i costi della vicenda Pomigliano». 

    «Di sicuro uno stabilimento in cui si produrrà un unico modello, la Mito, non potrà avere un grande futuro», commenta Giorgio Airaudo, segretario piemontese della Fiom-Cgil. «In realtà il conflitto sindacale è solo un comodo alibi. La vera ragione che ha portato la Fiat a questa decisione è la pura convenienza economica: gli operai serbi saranno pagati 400 euro al mese, contro i 1200 degli italiani. In più l’azienda riceverà cospicui finanziamenti dal governo serbo e per 10 anni non pagherà tasse». Il Lingotto ha assicurato che a Mirafiori arriveranno comunque nuove produzioni (sono previsti, per i prossimi anni, 25 nuovi modelli), ma le parole di Marchionne suonano quasi come una minaccia: «Fiat non può assumere rischi non necessari in merito ai suoi progetti sugli impianti italiani», aggiungendo che «dobbiamo essere in grado di produrre macchine senza incorrere in interruzioni dell’attività» e sostenendo l’assoluta necessità per i sindacati di «modernizzare i rapporti industriali». 

    Una logica che Airaudo rifiuta: «Dal sindacato non si può pretendere che per affrontare la crisi globale si possa essere disposti accettare salari, orari e condizioni di lavoro simili a quelli dei lavoratori serbi, polacchi e turchi. La Fiat si sta comportando come una qualunque multinazionale e non come un’azienda italiana che ha dato, ma ha anche ricevuto e continua a ricevere dal nostro Paese tantissimo». 

    Per la Fim-Cisl, che ha sottoscritto l’accordo di Pomigliano, l’unica strada resta il dialogo. «Il mondo del lavoro è cambiato, non possiamo continuare a ragionare con schemi vecchi di decenni», spiega Claudio Chiarle, segretario della Fim-Cisl di Torino. «Il nostro obiettivo prioritario è mantenere i livelli occupazionali, evitando il più possibile che le novità portino un peggioramento delle condizioni dei lavoratori. Ma per farlo dobbiamo essere pronti a discutere su tutto, dall’organizzazione dei turni, all’orario di lavoro, senza che questo sia visto necessariamente come un passo indietro: tante altre categorie di lavoratori, per esempio, lavorano anche al sabato e alla domenica. E a Pomigliano, con la nuova organizzazione dei turni, può capitare che un operaio lavori 32 ore la settimana anziché 40. Come sindacato dobbiamo fare lo sforzo di spiegare i cambiamenti in prospettiva e non puntare sempre sulle paure immediate». 

    In questa dialettica fra Fiat e sinacati, secondo la Fiom, pesa moltissimo l’assenza del Governo che secondo Airaudo usa il Lingotto solo in termini propandistici: «Per mesi la parola d’ordine è stata: niente più aiuti alla Fiat; adesso, invece, c’è l’esaltazione dell’accordo di Pomigliano. Ma manca del tutto una seria discussione sulla politica industriale, su cosa produrre e sul come farlo. Marchionne ha potuto conseguire risultati brillanti negli Stati Uniti perché gode di un forte sostegno economico sotto forma di prestiti. Perché non si può fare la stessa cosa in Italia? Al posto degli incentivi, si potrebbe pensare a un prestito da restituire in cinque anni. Sarebbe un ottimo strumento per mantenere le produzioni in Italia». 

    Ma a parte i sindacalisti, che clima si respira dentro Mirafiori? Lo abbiamo chiesto ad una caposquadra di 43 anni: «C’è molto malcontento, non solo fra gli operai, ma anche fra gli impiegati. La sensazione è che, se non arriverà nessun modello nuovo, faremo la fine di Termini Imerese. E poi c’è molta disaffezione verso i sindacati: proclamano gli scioperi solo per far vedere che ci sono, in realtà non fanno nulla in concreto, anzi spesso sono collusi con l’azienda». 

    «È vero, i lavoratori per molto tempo sono stati lasciati soli», ammette il sindacalista della Fiom, «i sindacati hanno stentato a democratizzarsi e oggi sono divisi, perciò deboli. Ma, nonostante tutto, non hanno perso la fiducia degli operai. Oltre il 50% è tesserato e alle elezioni per le Rsu partecipa il 97% dei lavoratori. Oggi, durante un cambio turno, ho registrato 10 nuovi tesseramenti: ripeto, la fiducia c’è, ma dobbiamo cercare di essere più uniti». 

    E i lavoratori, non hanno colpe? «In questi giorni estivi, registro punte di assenteismo anche del 50%», rivela la caposquadra. «In parte li capisco: nelle linee chi lavora ha in media più di 50 anni e non riesce a reggere i ritmi». «È vero, quello dell’assenteismo è un problema serio, anche a Mirafiori», commenta il sindacalista della Fim-Cisl. «Senza giustificare nessuno, è vero che l’ambiente è molto migliorato, ma la Fiat non assume più da anni e per un operaio che lavora alle linee da 25-30 anni facendo sempre la stessa operazione è davvero molto, molto dura».

Eugenio Arcidiacono
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