14/04/2011
Don Luigi Ciotti, presidente di Libera.
“Non basta più indignarsi. Anzi indignazione è una parola di cui s’è fatto abuso, che dovremmo cancellare dal vocabolario. Dobbiamo provare disgusto. Penso che il “processo breve” sia un aspetto di quella che viene chiamata riforma ma che è in realtà un “sequestro” della giustizia”. Non usa mezzi termini don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e presidente di Libera, nel commentare la legge di riforma del sistema giudiziario appena varata dal Parlamento. "Con l'approvazione della legge sul processo breve", si legge sul sito di Libera, la rete di associazioni e movimenti contro le mafie, "la legge diventa uguale per i potenti, diseguale per i deboli".
I processi oggi durano mediamente sette anni. Non è un’inciviltà giuridica?
“Beninteso, dobbiamo augurarci una giustizia efficiente, capace di arrivare quanto prima a un giudizio. L’accertamento della verità è un diritto di tutti, degli accusati come delle vittime. Ma questa riforma sembra tagliata a misura di certi processi che vedono coinvolto un singolo imputato. E questo è uno scandalo per la democrazia, perché viola il principio costituzionale dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. E un ulteriore passo verso quella deriva che la trasforma da democrazia in “plutocrazia”, potere del denaro sulle vite e sulle coscienze delle persone”.
Molti familiari delle vittime delle stragi protestano perché vedono cadere molti processi. E’ davvero così?
“Ancora si sta cercando di valutare le ricadute della riforma su alcuni processi per fatti che hanno colpito tante persone e causato tante vittime. Non voglio addentrarmi negli aspetti tecnici perché non ne ho le competenze. Ma mi sembra già grave che molti familiari delle vittime si sentano minacciati nelle loro speranze di giustizia”.
I reati di mafia, strage e terrorismo sono stati tenuti fuori dalla legge che accorcia i tempi della prescrizione.
“È vero che la norma prevede l’eccezione per reati come mafia e terrorismo. Ma non si tiene conto ad esempio della corruzione, che della mafia è quasi sempre il terreno di coltura. E questa non è una “dimenticanza”, dal momento che il primo processo a decadere in virtù della riforma sulla prescrizione breve – al punto da impedire al Tribunale di emettere persino la sentenza di primo grado – sarà il “processo Mills”, in cui quel singolo imputato è accusato, guarda caso, di corruzione”.
La legge emanata ieri dal Parlamento è secondo lei una legge ad personam per tirare fuori dai guai Berlusconi?
"Che sia una legge ad personam, l’ennesima, mi pare lo dimostrino i fatti, le troppe strane coincidenze. Mi chiedo come tutto questo possa essere compatibile con l’etica, sia essa cattolica o laica. Paolo VI disse che “la politica è la più alta ed esigente forma di carità”. Sono parole che sollecitano tutti, indipendentemente dai riferimenti religiosi e culturali, alla politica come sforzo per il bene comune”.
I cattolici non dovrebbero far politica in nome del bene comune e non del bene privato?
“La politica ha nella democrazia il suo ideale più nobile ma anche il più impegnativo, perché chiede a ciascuno di sostenerlo non a parole ma con i fatti, nella coerenza, nella sobrietà dello stile di vita, nella condivisione, nell’attenzione agli altri, nell’impegno per combattere i privilegi, le disuguaglianze, i monopoli, le forme d’impunità. È una tensione costante, che non ammette cedimenti. Occorrono coscienze sveglie, non anime complici o dormienti. Dobbiamo ritrovare insieme il senso di una politica capace di soddisfare il bisogno di verità, la “fame e sete” di giustizia delle persone e della partecipazione che permette di dare senso alla vita. Don Tonino Bello, grande vescovo di Molfetta e guida di Pax Christi, diceva ai politici cattolici: «amate senza riserve la gente che Dio vi ha affidato. A Lui, prima che al partito, un giorno dovrete rendere conto».
Come dovrebbero reagire gli italiani a tutto questo? Non le pare che in generale il ruolo dei cattolici in queste vicende politiche sia di quasi totale estraneità?
“L’ho detto all’inizio, non basta più indignarci. Dobbiamo ribellarci. Ribellarci eticamente e pacificamente, ma ribellarci. All’impotenza e alla rassegnazione, all’indifferenza e alla superficialità, che sono le grandi malattie spirituali del nostro tempo".
Non sembra di vedere un grande ribollimento...
“Se la deriva è arrivata fino a questo punto non è solo a causa di chi si è reso complice dello scempio di democrazia, chi in Parlamento ha sostenuto il falso sapendo che fosse il falso, dei tanti che ancora si fanno ipnotizzare da informazioni truccate, realtà rovesciate, esercizi retorici per nascondere la verità. Ma anche perché troppi sono stati alla finestra silenti e con le mani in mano, sottovalutando il rischio che tutti stavamo correndo. La rinascita politica, economica e sociale non può avvenire senza un risveglio generale delle coscienze, senza una ribellione etica che, nel segno della Costituzione, ridia al nostro paese la dignità e la libertà per cui tante persone si sono battute e hanno sacrificato la loro vita”.
Francesco Anfossi