09/05/2013
Ottavio Missoni tra stoffe e pennarelli (Ansa).
Milano, giugno 2008 -Tutto è colorato in Ottavio Missoni, anche il racconto, come le righe (le sue righe) che indossa in spregio alle regole dei sarti accostandole a quadri e zigzag. Un inno di stoffa alla libertà che è stile anche di vita. «Vivo alla giornata. Alla mia età, se le condizioni di salute non sono tragiche, non è ammessa la noia, scegli tu se vuoi guardare un tramonto, passeggiare in riva al mare, leggere un bel libro, cantare all’osteria, giocare a carte, ascoltare la musica. Quando passi una buona giornata e poi un’altra e poi un’altra hai messo insieme una buona settimana, se ti va bene una buona annata».
Le giornate di “Tai” Missoni non nascono mai all’alba. «È così che sono cresciuto. Ricordo una sera a casa di mia madre. Mia moglie Rosita per accomiatarsi disse: “Dobbiamo andare, domani i bambini vanno a scuola”. Mia madre le prese una mano, “Ma no, Rosita, non li svegliare presto, i te diventa nervosi”. Non mi svegliò mai per andare a scuola. Forse è stata la mia fortuna, se fossi stato mattiniero nel ’49 avrei accettato un ottimo impiego, per 50.000 lire al mese. Oggi sarei un pensionato della Snam. Io ci ho provato ad alzarmi presto, ma poi ho capito che fino a mezzogiorno non ero davvero sveglio. Era tempo perso.
Un amico mi prendeva in giro: “Dormi come un ghiro, però da sveglio arrivi in finale alle Olimpiadi”».
Andò così davvero. A Londra 1948 Ottavio Missoni corse la finale dei 400 ostacoli arrivando sesto. «Ero magro, patito, in finale arrivai stanco. La medaglia probabilmente sarebbe arrivata in staffetta se uno di noi non si fosse fatto male in semifinale». La storia del resto non si fa con i se. Al posto della Snam sono arrivate le maglie, al posto delle medaglie una giovane donna che a Londra aveva scorto quel ragazzo alto e bruno che correva veloce e anche trovato il modo d’incontrarlo. Era Rosita.
«Ora la medaglia ce l’ho. Me l’hanno regalata gli amici: medaglia alla resistenza, per i 55 anni di matrimonio. Il merito va tutto a lei. Sul lavoro eravamo pari, ma quando si finiva Rosita aveva una casa, tre bambini, cinque cani e come asso di briscola in aggiunta aveva me. Io sto dalla parte delle donne. Quando mi chiedono perché, rispondo: perché mia madre era una donna. Sbaglio?».
A sua madre, Teresa, deve il suo ritmo nel mondo e forse il coraggio di sfidarsi: «Quando le amiche andarono a complimentarsi le prime volte che finivamo sui giornali diceva: “Ottavio xe bon de far tuto basta solo che el vol”. Forse non sono diventato un violinista, perché non mi sono applicato». Ride, con l’aria di chi chiama fortuna la fortuna e non si prende troppo sul serio nemmeno nel lavoro che tutto il mondo ha riconosciuto: «Una volta un architetto mio amico disegnò una penna e io gli mandai i complimenti. Si rammaricava: “L’avevo disegnata 20 anni fa e me l’hanno copiata tutti”. E lo dici a me? Sono 2000 anni che sulle Ande copiano le mie maglie. Siamo diventati famosi per il put-together, l’idea di mescolare senza limiti, ma tutti i pastori del mondo eran vestiti così. Noi abbiamo solo codificato questa cosa e poi ci abbiamo mandato le signore in strada».
È come se il bambino che si alzava a mezzogiorno e non andava a scuola – e oggi alla stessa ora comincia la giornata con una decina di battute a tennis e altrettante flessioni per raccogliere le palline – fosse ancora qui e non smettesse mai di guardarsi attorno con stupore: «Le cose che so le ho imparate dai libri. Da ragazzo ho letto moltissimo, ora meno perché gli amici fanno più in fretta a scrivere i libri che io a leggerli. L’ultimo di Claudio Magris è di 600 pagine. Gli ho detto: “Ti ho messo in buona compagnia, sulla libreria assieme all’Ulisse di Joyce, altro libro che tutti abbiamo comprato e nessuno ha letto”».
Ride ancora: «Fingo di dimenticare libri ovunque, è da sempre il mio modo di esortare figli e nipoti alla curiosità. Ho letto di tutto: i tascabili per me sono un miracolo. Sei appassionato di filosofia, di viaggi, di astronomia, di poesia? Con 10 euro leggi Voltaire, i classici greci, Antigone, per pochi euro». Non servirà ad assemblare colori, ma a impedire che i limiti tecnici tarpino le ali alla fantasia forse un po’ sì: «Ho capito imparando il mestiere che c’erano due componenti: la materia e il colore. All’inizio eravamo famosi per le righe. Il problema è che avevamo macchine da maglieria che sapevano fare solo righe. Non voglio fare filosofia del colore, ma pensa alle note musicali: sono solo sette, al netto di diesis e bemolle, eppure bastano per la nona di Beethoven. I colori di base sono tre, ma aprono un universo di tonalità infinite: quante composizioni puoi fare con i colori? Mica solo io, i grandi artisti molto più di me. Il segreto è l’armonia».
Per disegnarla bastano un foglio a quadretti e una scatola di pennarelli: «Sono strumenti da bambini, ma chi deve tradurre sulle macchine da maglieria trova codici precisi: colore, battute, varianti, sovrapposizioni. Mi diverto? Passo il tempo. A 87 anni è già lusso». Lo è di più coltivare ancora l’atletica, passione di una vita, e diventare vicecampione mondiale master: getto del peso. «Mi chiedono: che cavolo di sport è? E io traduco, buto la bala (butto la palla), una palla di ferro, che ogni anno pesa un po’ di più. Faccio gare over 85, ma mi piace di più dire under 90». Che poi è un modo di buttarsi avanti, come anche lanciare. Forse perché voltarsi indietro significa scorgere luoghi perduti, due città, condannate da troppe guerre a restare ferme, mentre attorno impazzivano i confini. Per le carte geografiche oggi sono Zadar e Dubrovnik. Ma nel cuore di Missoni saranno sempre Zara e Ragusa. Perché là giocava un bambino che chiamavano Tai.
Elisa Chiari