23/05/2011
Stéphane Hessel
Prima di invadere le piazze della Spagna l’indignazione spopolava nelle librerie di Francia. Indignez-vous! , un libriccino di 22 pagine (in pratica, un lungo articolo) si è diffuso tra milioni di francesi alla velocità di un virus. In Italia e in altri Paesi ha già scalato le classifiche fino a influenzare anche sul piano pratico gli Indignados di questo "maggio spagnolo". L’autore è un diplomatico dall’età venerabile e dallo spirito giovanile, Stéphane Hessel, che abbiamo incontrato in una libreria milanese, nel corso di una sua trionfale settimana in Italia. La sua stessa biografia è un programma politico e un inno alla libertà.
La famiglia di provenienza è quella tipica dell'alta borghesia cosmopolita di inizio Novecento. Stéphane, secondo di due figli, nasce a Berlino nel 1917 da un padre ebreo, Franz Hessel, scrittore e traduttore, amico di Walter Benjamin, con il quale tradurrà in seguito la Recherche di Proust e da una madre pittrice, melomane, scrittrice e giornalista. Nel 1924 la famiglia si stabilisce nella Parigi della Belle Epoque. La madre, Helen Grund, diventa corrispondente di moda della Frankfurter Allgemeine. Da ragazzo Stéphane frequenta l’avanguardia pittorica della Ville Lumiere, tra cui il dadaista Marchel Duchamp. Naturalizzato francese nel 1937, viene scaraventato nella “drole de guerre”, la strana guerra di Dunkerque. Quando in Francia viene istituito il regime collaborazionista di Vichy raggiunge il quartier generale della Francia libera di De Gaulle, a Londra. Lavora per il controspionaggio e nel 1944 viene paracadutato clandestinamente in Francia con il nome in codice di Greco per entrare in contatto con la resistenza e comunicare via radio le informazioni a Londra.
Hessel e la copertina del suo libro, best seller in Francia
ll 6 giugno 1944, i versi di Paul Verlaine trasmessi da Radio Londra danno il via all’Operazione Overlord, lo Sbarco di Normandia, e lui si trova ancora oltre le linee, in missione a Parigi. Ma il 10 luglio, in seguito a una denuncia, la Gestapo lo arresta e lo tortura (subisce il supplizio della vasca da bagno, versione nazista dell’attuale “waterboarding”, più tardi sosterrà che chi parla sotto tortura non è moralmente responsabile). Durante gli interrogatori destabilizza i suoi carcerieri parlando un tedesco berlinese spesso migliore di quello dei suoi aguzzini. “Ho preferito gettare la maschera, piuttosto che far finta di non saperlo e per sentire cosa dicevano alle mie spalle e, da tedeschi, hanno apprezzato la mia lealtà e mi hanno salvato la vita”.
Mentre “Parigi brucia”, l’8 agosto 1944 lo spediscono a Buchenwald, in Germania. Il giorno prima della sua impiccagione riesce a scambiare la sua identità con quella di un veterinario francese morto di tifo nel campo. Viene traferito a Rottleberode. Evade tre volte e viene sempre ripreso, ma alla quarta evasione ce la fa e raggiunge la moglie Vitia, madre dei suoi tre figli.
“Questa vita restituita”, dice, “bisognava impegnarla”. Termina gli studi di Filosofia interrotti all’école Normale, poi entra nella carriera diplomatica. A 30 anni lavora nel gabinetto di Henry Laugier, segretario generale aggiunto dell’Onu durante i lavori di stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Fa amicizia con Eleonor Roosvelt e partecipa all’elaborazione della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. “La porto sempre dentro di me, nella testa e nel cuore”. Il resto della sua vita è un’appassionata avventura di viaggi e missioni all’estero, intercalato dagli studi di Filosofia, la sua grande passione (“una passione molto francese”). Oggi, a 93 anni, passa le giornate a parlare nelle scuole, nelle librerie, negli incontri pubblici di mezza Europa. Lo invitano ovunque. Quando è a Parigi, non fa che ricevere gente, soprattutto giovani e concedere interviste. In Francia è ormai una celebrità tale da competere con Sarkozy, ma anche con Johnny Halliday.
Stéphane Hessel.
Ma cosa scrive di così dirompente, questo vegliardo dall’intramontabile spirito giovanile? “Semplicemente", risponde, "dichiaro solennemente che i diritti della Dichiarazione Universale sono in pericolo, che le divisioni tra pochi ricchi e tanti poveri si sono acuiti. Non era questo che volevamo quando abbiamo elaborato i principi e i valori su cui si basa il programma del Consiglio nazionale della Resistenza adottato nel 1944”. Il futuro, per Hessel, è la non-violenza, ma è una non-violenza da costruire.
“Tante cose sono cambiate dai tempi della Resistenza. I programmi che avevamo pensato non si possono applicare integralmente al giorno d’oggi. Ma i valori che erano sottesi, quelli sì, sono rimasti gli stessi e mi pare che in quest’epoca postmoderna siano in pericolo. A cominciare dal valore della democrazia”.
Questo diplomatico, accademico di Francia, ha visitato numerose volte la Palestina (l’ultima volta tre anni fa), compresa la striscia di Gaza, che ha definito “una prigione a cielo aperto” giungendo alla conclusione che la radice dell’indignazione potrebbe partire dalle riflessioni su questo tormentato popolo. Il suo motto, dedicato a "coloro che faranno il XXI secolo" che rimbalza in centinaia di migliaia di voci è "creare è resistere, resistere è creare". Un motto un po' oscuro, ma evidentemente di successo.
“Ma il discorso è globale e riguarda in particolare l'Occidente. Anche voi italiani avete di che riflettere. Questa società dei sans papiers, delle espulsioni, del sospetto nei confronti degli immigrati, questa società che rimette in discussione le conquiste della Sécurité Sociale, il Welfare, in cui i media sono quasi sempre monopolio dei ricchi, non è la società per cui abbiamo lottato nella Francia occupata. Vogliono privatizzare perfino l’acqua, il bene pubblico per eccellenza. Tutte cose che avrebbero fatto inorridire i padri fondatori del Consiglio nazionale della Resistenza”.
Le rivolte in Nordafrica sembrano avergli dato ragione e infatti in Francia è spesso invitato a dibattiti su quel che sta accadendo da Tunisi e Bengasi. “Quello che è avvenuto in Tunisia”, dice, “è importante perché è un movimento partito dal basso, dal popolo. E la Carta delle Nazioni Unite comincia proprio con “noi, popolo delle Nazioni Unite. E’ al popolo che spetta decidere come essere governati, la Tunisia è l’esempio di una liberazione democratica e di un’insurrezione pacifica. Il motore della Resistenza, allora, come oggi, è l’indignazione. L’indignazione contro l’indifferenza. Ma indignarsi non basta. Ognuno di noi deve, con la sua propria sensibilità, saper impegnarsi su tutti i fronti della sua epoca. Perché quello che sta avvenendo nel mondo ce n’est qu’un début”, non è che l’inizio”. Ci sarà un "maggio" europeo?
Francesco Anfossi