22/03/2011
Libia e Italia, vediamo se è possibile di capirci qualcosa. Facciamo parte di una forza che bombarda e mitraglia, ma non siamo in guerra. Dice l’Onu che è una missione umanitaria. Chi comandi questa azione umanitaria, con aerei, portaerei e missili, nessuno ancora lo sa. Il presidente americano partecipa ma, a quanto pare, non vuole greche sul berretto. E’ un progressista, ha già abbastanza guai in casa dove, oltre agli avversari politici, lo criticano anche parecchi dei suoi.
Tutt’altro discorso per francesi e inglesi. Sarkozy per primo ha impresso una patente di legalità agli insorti libici, riconoscendo il governo di Bengasi – ci fosse o no, poco gli importava - e mobilitando subito dopo l’aviazione. In crisi com’è nei sondaggi elettorali, un po’ di grandeur potrebbe aiutarlo. Rievoca De Gaulle, anche come capacità di irritare gli alleati. Cameron non ha problemi di maggioranza ma si è affiancato con uguale entusiasmo. Già la signora Thatcher aveva tratto nuovo lustro e vigore dalla spedizione nelle Falkland.
E l’Italia? Berlusconi era visibilmente in imbarazzo. All’inizio non voleva “disturbare” Gheddafi, e un po’ si può capire. Aveva appena ricevuto in pompa magna il dittatore, si proclamava suo sodale, esisteva fra i due paesi un trattato d’amicizia. In seguito ha lasciato mano libera ai ministri Frattini e La Russa. Nei vertici internazionali la sua fisionomia devastata parlava da sola. Da Gheddafi si è beccato l’epiteto di traditore, senza ribattere. O meglio, ha detto di sentirsi addolorato: che è come scusarsi col cappello in mano. Per giorni insomma, anche mettendo in conto i malumori leghisti, si è avuta netta la sensazione che a Roma ci fossero due opposte linee di governo: una gladiatoria, con ministri che secondo Bossi “parlavano a vanvera”, e un’altra che non vedeva con alcun favore il ricorso alle armi.
Comunque alle armi si è arrivati, con una seconda tappa che era fatalmente connessa alla prima. Una volta concesse le basi, lasciando per intero l’iniziativa in mano agli alleati, non ci si poteva ridurre al ruolo di affittacamere. Di qui gli otto o dieci jet nostrani, forse partecipi anch’essi di cruente incursioni, forse semplici pattugliatori. Ma, sempre, senza considerarsi in guerra. E senza, ci si dice dall’alto, che si possano alimentare obiezioni di principio e tanto meno allarmismi.
Le obiezioni però ci sono. E i ripensamenti: clamoroso, per dire poco, quello italiano. A invertire la rotta è per primo il ministro Frattini: o comando unificato in ambito Nato, o niente più basi. Di rincalzo, e col sollievo di chi finalmente può dire ciò che pensa, lo stesso premier Berlusconi. Ben fatto, dall’uno come dall’altro, ma parecchio in ritardo. Solo vistosi buchi nella politica estera, e nell’arte della diplomazia, possono far diventare nero ciò che fino al giorno prima era bianco, anzi luminoso. Ieri l’afflato umanitario dell’Onu, come polvere negli occhi; subito dopo la bega fra alleati, l’implicita denuncia delle mire franco-inglesi, il petrolio, la sconfessione insomma degli obiettivi iniziali. Tutto immiserito, la venalità che subentra agli ideali.
Questo mentre, all’esterno, continuano a protestare non i soliti e innocui pacifisti ma nientemeno che la Germania, la Russia, la Cina, la Turchia, il populista Chavez. Diverse le motivazioni e i retroterra: per esempio russi e cinesi hanno troppi scheletri nell’armadio, dalla Cecenia al Tibet. E i turchi con i curdi. Stravagante volerli vedere come fautori dei diritti civili. Per contro la Germania, che di guerre ne ha viste fin troppe, perdendole tutte, è una incensurabile democrazia che indica, al posto delle bombe, la linea diplomatica. Quando Gheddafi proclama il “cessate il fuoco”, non gradisce che ci si limiti a non credergli. E fin dalle prime bombe ha fatto capire come la missione umanitaria mascherasse i veri obiettivi economici e politici, appunto il petrolio e il controllo del Mediterraneo. Controllo, inciso superfluo, dal quale l’Italia rimaneva esclusa.
E adesso? Basi italiane o no, simbolico comando Nato o effettivo comando francese, cambierà la forma ma non la sostanza: a meno che Gheddafi non beffi tutti restando in sella e riaprendo imprevedibili scenari. Forse, al posto dei missili, un ritorno alla diplomazia.
Se questa è la situazione internazionale, da noi c’è la stupefacente inversione di ruoli fra una sinistra che approva le bombe e una destra che le deplora. Passando infine dai contrasti politici alle valutazioni etiche, che investono in primo luogo il mondo cattolico, sono in aumento le voci di chi rifiuta l’identificazione fra l’azione bellica e la missione di pace. Ben altri dovrebbero essere metodi e obiettivi. A dirlo sono in tanti. Rimane da vedere se contano qualcosa.
Giorgio Vecchiato