07/03/2012
I lavori nel cantiere Tav di Chiomonte (foto Ansa).
Se l’opera pubblica è stata decisa con
procedure corrette dagli organi competenti,
secondo le leggi e senza deviazioni
o reati, essa va realizzata. Anche se dà disagio
a un gruppo di cittadini, senza naturalmente
compromissione dei loro diritti fondamentali
come la vita o la salute. Il sacrificio o
la compressione di interessi vanno equamente
indennizzati.
Lo svolgimento dei lavori dovrà
essere sicuro per gli operai, la salute e
l’ambiente. Il percorso sarà il migliore nel rispetto
del bene comune. Contratti e appalti
escluderanno infiltrazioni mafiose e distorsioni
delle gare. La sorveglianza su tutti
questi requisiti deve essere rigorosa e onesta,
quindi affidabile. Le proteste e le contestazioni
delle scelte debbono essere libere e
pacifiche: non sono ammessi reati come l’interruzione
di servizi pubblici, i danneggiamenti
o le violenze.
Può accadere che una decisione di principio
corretta risulti con il tempo errata in punti
fondamentali. Capita anche nei processi,
che ammettono la revisione di sentenze definitive
per l’emergere di fatti nuovi decisivi.
Si può applicare qualche cosa di simile a
un’opera pubblica, specie se abbia tardato
decenni a decollare?
Esclusa dunque la violenza. Escluso che si
possa rimettere in discussione ciò che è legittimamente
deciso dalle istituzioni. Ribadito
il diritto all’indennizzo dei sacrifici e alla migliore
esecuzione delle opere, si può dubitare
però che una diffusa, argomentata e forte
opposizione dei cittadini più prossimi – depurata
degli infiltrati professionisti della violenza
che vanno sempre denunciati e puniti – richieda
un’ultima verifica.
C’è qualche ragione
nuova e decisiva sugli obiettivi dell’opera,
sulle tecnologie, sull’ambiente, sulla salute,
sulle priorità essenziali che autorizzi una rimessa
in discussione? Chi regge il Paese, cioè
il Governo, può pronunciarsi un’ultima volta.
Non parlo della Val di Susa, ma di qualunque
grande opera pubblica, perciò anche di
questa. Una volta presa la decisione, tutti
dobbiamo seguire. Sì o no?
Adriano Sansa, magistrato