Siria, ormai è guerra civile

A un anno dall'inizio delle proteste, la repressione di Assad ha generato una vera guerra civile. I patteggiamenti tra le potenze per il "dopo".

09/02/2012
I corpi di alcune delle vittime della repressione a Homs (copertina e questa foto: Reuters).
I corpi di alcune delle vittime della repressione a Homs (copertina e questa foto: Reuters).

Da un anno, ormai, il popolo della Siria è tenuto in ostaggio da una trattativa internazionale che, anche quando si ammanta di ragioni ideali, è in realtà indifferente alla sorte delle persone. Sono ormai più di 5 mila le vittime della repressione (e almeno 150 nelle ultime ventiquattro ore) scatenata dal presidente Bashar al Assad contro la protesta.


     Un atteggiamento, oltre che immorale, insensato perché le richieste, nella fase iniziale della protesta, erano davvero molto moderate: nessuno chiedeva un cambio radicale di regime ma solo vere elezioni per il Parlamento e la fine dei processi militari anche a carico dei civili. Molto meno, per fare un esempio, di quanto le monarchie della confinante Giordania e del più lontano Marocco hanno spontaneamente concesso ai loro sudditi.

     La degenerazione violenta del regime autoritario di Assad ha stravolto la situazione: ora la Siria è preda di una vera guerra civile; l'esercito regolare spara sui civili ma deve anche fronteggiare un sempre più folto e organizzato "esercito di liberazione", che da mesi ormai gode dell'aperto supporto della Turchia; sempre più numerosi sono i civili siriani che si attrezzano non solo a sfuggire alla repressione ma anche a rispondere al fuoco.

        Parte di queste sofferenze si sarebbero potute evitare se la comunità internazionale non avesse deciso di lasciare il popolo della Siria al proprio destino e di aspettare, secondo convenienza: i Paesi occidentali ad attendere la caduta di Assad, per raccogliere i cocci e il dividendo politico senza rischiare nulla; Russia e Cina a sperare che Assad resista, per "dare una lezione" agli Usa e mantenere qualche rendita di posizione, che per la Russia sta soprattutto nelle armi che vende ad Assad (4 miliardi di euro l'anno) e nella base navale di Tartous, l'ultima che le è rimasta in Medio Oriente.

        Bisogna dunque guardare con attenzione nelle divisione manichea "buoni" e "cattivi" dello schieramento internazionale. Gli Usa ora minacciano addirittura l'intervento armato in Siria. Ma quanto sono credibili, dopo che hanno tranquillamente appoggiato l'esercito dell'Arabia Saudita, invitato dal regime del Bahrein a sparare sui dimostranti che, proprio come quelli siriani, chiedevano solo un po' più di democrazia? E la Russia, con la sue finte questioni di principio?

     Nella realtà, nessuno più crede che Assad, odiato dal suo popolo e squalificato agli occhi del mondo, abbia un futuro come leader della Siria. Le minacce di intervento, le risoluzioni bloccate all'Onu, le mosse della diplomazia ora sono solo i tasselli di una trattativa che, appunto sulla pelle dei siriani, già prova a definire il dopo e a distribuire vantaggi e svantaggi per le potenze interessate. Russia e Cina provano a limitare i danni, essendo da anni schierate con la parte perdente; gli Usa tentano di incrementare il profitto, essendosi già rafforzati in Tunisia, in Libia e parzialmente in Egitto, avendo turato le falle nei Paesi del Golfo Persico e comunque essendo saldamente presenti in Giordania.

    C'è un solo Paese che, almeno dal punto di vista politico, esce "vincitore" da questa crisi: la Turchia. Si è schierata subito dalla parte delle proteste (non solo siriane) e ora appoggia l'esercito di liberazione ostile ad Assad. Per milioni e milioni di arabi moderati è il nuovo modello di Stato islamico, democratico e funzionante dal punto di vista economico. Il premier Erdogan, che è piuttosto astuto, saprà approfittarne.

     

Fulvio Scaglione
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Postato da martinporres il 10/02/2012 00:25

Riempiamo i giornali occidentali, come in occasione della guerra libica, di notizie rilanciate da social network, da sedicenti associazioni per i diritti umani Ma le notizie sono tutte verificate? E al-jazira dal Quatar che ruolo sta giocando in questa crisi?

Postato da DOR1955 il 09/02/2012 19:00

Egregio Dr. Scaglione, di seguito riporto due miei commenti e la sua replica a un articolo relativo alla Siria pubblicato nel mese di novembre 2011. Per me restano validi gli stessi commenti e la stessa domanda, con l'aggravante di migliaia (forse non lo sapremo mai) di morti in più. Postato da DOR1955 il 15/11/2011 15.40 Nonostante da mesi le diplomazie di tutto il mondo (per ultimi la Lega Araba e anche la Cina) cerchino una qualche mediazione con il regime di Assad, questi non sembra avere nessuna intenzione di fermare i massacri che quasi quotidianamente compie. Qui vorrei chiamare in causa i "pacifisti ad oltranza" e i "guerra-fondai". Cosa bisogna fare in situazioni come questa? Parlare, parlare, parlare mentre intanto centinaia, se non migliaia, di innocenti vengono uccisi o intervenire? Dopo l'esperienza della Libia penso che ben pochi paesi abbiano intenzione di "impantanarsi" in un altro conflitto. E il primo motivo non penso sia per "paura" della Siria o che il suo alleato russo intervenga in sua difesa, ma in primis per non subire critiche da parte dei "pacifisti - a prescindere". Personalmente preferisco sempre il dialogo (anche se qualche "scappellotto" ogni tanto farebbe bene darlo) ma sono molto dubbioso che in casi come questo il tentare una qualsiasi mediazione possa portare a un qualche risultato. Intervenire o accetare migliaia di morti? Cosa ne pensano i lettori cattolici? Risposta di: Fulvio Scaglione (vice direttore FC) Caro DOR1955, non sono proprio in grado di dire come la pensi una categoria vasta come quella dei "lettori cattolici". Quel che penso io, sul tema della guerra e della pace, è questo: quel che non funziona più, in un mondo che sta cambiando i suoi equilibrii, è il doppio standard. Quello per cui si ammette la guerra se interessa a noi e la si condanna se non ci interessa. Si chiede la democrazia in Tunisia e in Egitto ma si ammette tranquillamente che l'Arabia Saudita prenda a fucilate i dimostranti che chiedono democrazia in Bahrein. non ci sono azioni decise contro la Siria per ragioni ben precise: una è il comprensibile timore di far saltare in aria il quadrilatero Siria-Israele-Libano-Giordania. L'altra è che in Siria non ci sono risorse petrolifere. Se ci fossero, Assad avrebbe già fatto la fine di Saddam e di Gheddafi. Altro che le proteste dei pacifisti. Cordiali saluti Postato da DOR1955 il 16/11/2011 08.47 E' tremendamente vero tutto quello che dice Dr. Scaglione; la mia era una domanda su "cosa pensiamo", ma sopratutto, "cosa possiamo fare", noi cattolici (e non), per fermare questa strage che rischia di dilagare. E la conferma viene leggendo, proprio stamane, una notizia di una agenzia di stampa, la quale riporta che militari passati con l'opposizione hanno attaccato una base dell'aeronautica. E questo è preludio di una ancora più dura repressione e di una probabile guerra civile. Al di la del "doppio standard" che purtroppo "governa" il mondo (denaro - diritti umani nella forma più ampia) chi e come può fermare Assad e i potenziali futuri "Assad-Gheddafi-Saddam-ecc."?

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