14/02/2012
Shady Hamadi, 24enne scrittore e attivista italo-siriano (Fotogramma).
«È sbagliato parlare di guerra civile. In Siria è in corso una guerra di liberazione. La guerra civile presuppone uno scontro tra diverse anime della società. Non è così: l’opposizione siriana comprende l’intero puzzle sociale». Shady Hamadi è nato 24 anni fa a Milano da madre italiana e padre siriano, dissidente politico, ex esponente del Partito nazionalista arabo, costretto all’esilio. Studente di Scienze politiche, nel 2011 Hamadi ha scritto un libro, Voci di anime (edito da Marietti); a 18 anni ha scelto di diventare musulmano e oggi è una delle figure più rappresentative dell’opposizione siriana in Italia.
Recentemente il giovane scrittore ha lanciato un appello agli italiani: esporre un fiocco nero in segno di lutto per la Siria, a dimostrazione della sensibilità nei confronti della tragedia che si sta consumando nel Paese mediorientale. «La gente ha in mente ciò che è avvenuto in Libia e per questo ora ha molto riserbo verso ciò che sta accadendo nel Paese mediorientale», commenta Hamadi. «La Siria in questo momento è orfana del mondo: non dovevamo accorgerci della tragedia solo undici mesi dopo dallo scoppio delle rivolte».
Una parte della famiglia di Hamadi è originaria di Talkalakh, cittadina a 50 km da Homs, al confine con il Libano. «Lì la situazione ora è di stallo. Ma tempo fa, come denunciato anche da Amnesty international, sono stati perpetrati crimini contro l'umanità. Nell’ultimo rastrellamento, a dicembre, un mio cugino è stato arrestato mentre sta afumando una sigaretta fuori da casa sua. È riuscito a chiamare una sola volta con un cellulare. Noi pensiamo che fosse stato "imboscato" fra i prigionieri oppure che avesse semplicemente corrotto una guardia: l'ipotesi più probabile visto l'alto tasso di corruzione in Siria. In quella telefonata ha detto di non sapere dove fosse e che i soldati gettavano l’acqua gelata addosso ai loro corpi seminudi, li bastonavano e davano loro pochissimo da mangiare. Ora non sappiamo più niente di lui».
Un’altra parte della famiglia di Hamadi vive a Homs, proprio in uno dei quartieri più colpiti dai bombardamenti: «Mia nonna ha raccontato che alcuni parenti sono morti nel crollo di un palazzo centrato da un missile. Mesi fa, poi, mio zio è stato minacciato da uomini dei servizi segreti siriani a causa del mio attivismo in Italia. Gli hanno detto: "Se tuo nipote non smette di parlare lo facciamo tacere noi". Con lui non sono ancora riuscito a comunicare, ha paura di rispondere al telefono».
Bambini siriani che manifestano, anche loro, contro il regime (Ansa).
Hamadi sa bene di essere ben conosciuto e controllato dal mukabarat
(i servizi segreti siriani); sa che al momento non può entrare in
Siria. Il Paese che ha potuto visitare per la prima volta solo nel
2001 (perché fino al 1997 a suo padre era negato il ritorno in patria).
«Ma il vero viaggio di conoscenza per me è stato nel 2009, quando ho
vissuto per otto mesi a Damasco: là studiavo arabo e insegnavo italiano
ai siriani. In un primo tempo ho abitato nel quartiere cristiano. Poi
sono
andato a vivere nel quartiere del presidente Assad, a breve distanza da
lui. Una volta a una mia studentessa ho proposto di scrivere temi su
cosa significassero per lei libertà e democrazia. In seguito le ho
proposto di creare una rivista per così dire clandestina da scambiarci
fra di noi. Ma ancora prima di attuare il progetto, un giorno gli uomini
dei servizi segreti siriani sono venuti a bussare alla mia porta e
hanno chiesto le mie generalità».
Riguardo a suo padre, lo scrittore italo-siriano dice: «E' molto fiero del mio attivismo. Lui, da dissidente, subì le torture con i cavi elettrici e le bastonate.
Esiliato fino al 1997, non ha potuto assistere al funerale di suo
padre. Il suo sogno è tornare di nuovo in Siria, riabbracciare sua madre
e andare con lei a visitare la tomba di mio nonno. Una volta che tutto
sarà finito io probabilmente non avrò riconoscimenti né in Italia né in
Siria, riprenderò la mia normale vita di studente. Ma sarò orgoglioso di
avere compiuto il mio dovere verso la Siria».
a cura di Giulia Cerqueti