14/02/2012
I carri armati dell'esercito governativo a Homs (Ansa).
«Le notizie che arrivano dalla Siria sono frammentarie e non consentono di farsi un’idea precisa della situazione generale del Paese. Ma, anche qui, come negli altri Paesi della primavera araba, i primi informatori sono i giovani, grazie a Internet. A complicare ulteriormente la comprensione contribuisce anche il mosaico di identità sociali e religiose che costituisce, comunque, una delle grandi ricchezze culturali della Siria». A parlare è Stefano Minetti, torinese, dottore di ricerca in Filosofia all'Università Cattolica di Milano con specializzazione in mondo arabo e islamico contemporaneo, vissuto al Cairo, a Beirut e a Damasco e, in questi giorni, in contatto telefonico con vari siriani in diverse parti del Paese per farsi un'idea più chiara della situazione locale.
«Parlando con i miei contatti là», racconta Minetti, «emerge che il Paese è diviso tra zone sotto lo stretto controllo governativo e zone in cui predominano le forze di opposizione. La capitale e Aleppo restano in mano al Governo. A Damasco si percepisce chiaramente un clima di insicurezza, rafforzato dalla presenza di posti di blocco operati da reparti di polizia in tenuta antisommossa e da militari. Anche l’area tra il Mediterraneo e le città di Homs, Hama e Aleppo, confinante a Sud col Libano e a Nord con la Turchia, è sotto il controllo governativo. Qui si percepisce una "quasi normalità":servizi che funzionano, uffici aperti e lavoro quotidiano. La regione è caratterizzata dalla presenza delle principali minoranze religiose del paese, tra cui l'alawita, a cui appartiene lo stesso presidente, e che caratterizza quindi la regione come la vera e propria roccaforte del potere politico della famiglia Assad.
Il presidente siriano Bashar al-Assad durante una preghiera nella moschea al-Rawdha di Damasco (Ansa).
A Homs e Hama, dove è maggiore la presenza di forze d'opposizione al regime, si avverte invece più forte la guerra: lì non sono riuscito a raggiungere nessuno dei miei contatti. La zona sembra tagliata fuori dalle comunicazioni».
Il clima politico, spiega ancora Minetti, è confuso, la sicurezza
carente: il livello di violenza e criminalità è aumentato. «La
partecipazione della popolazione civile alla guerra, comunque, è
contenuta, probabilmente per l’incapacità di decidere per quale fazione
optare. Infatti, al di là delle appartenenze comunitarie e religiose, il
quadro complessivo rimane molto frammentato e incerto».
Quanto al futuro, «molte persone, tra cui alcune di quelle con le quali
ho parlato, continuano a sperare in una soluzione pacifica e politica al
conflitto, che ricomponga l’unità nazionale sotto la presidenza di
Bashar el-Assad, piuttosto che sotto l’egida di altre forze interne di
coalizione, benché questa ipotesi appaia meno probabile. In generale è diffusa l’ostilità verso l’ipotesi di un intervento straniero, considerato un’indebita ingerenza
in una delicata fase della vita del Paese. Molti siriani sono coscienti
del delicato ruolo della Siria, costretta - suo malgrado - a essere
teatro di un conflitto regionale che vede contrapporsi gli interessi di
Paesi stranieri: la tensione tra Stati Uniti e Russia, uno dei
principali alleati di Assad; quella politica e culturale tra Turchia e
Iran;ma anche la tensione più nascosta ma forte tra Paesi sunniti del
mondo arabo (Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti in primis) e il
modello sciita rappresentato dall’Iran».
a cura di Giulia Cerqueti