«Temevamo che lo tsunami sviluppatosi lungo il quarantesimo parallelo facesse molti più danni di quanto
(ed è già tanto) ha fatto», confida Paolo Beccegato. «Ora possiamo
dire che è stato violentissimo e velocissimo (viaggiando anche a 800 chilometri
orari) in direzione Est, arrivando a flagellare le Hawai, negli Usa, e la California, dove ha ancora fatto un
morto, ma possiamo altresì sostenere a ragion veduta che lo è stato
fortunatamente meno, molto meno, in
direzione Sud-Sudest, cioe' verso l'Indonesia, le Filippine, la Papua Nuova
Guinea, l'Australia e le tante isole del Pacifico per lo più povere se non
poverissime. Nel 2009, a Nord delle Samoa,
uno tsunami causò 4.000 vittime.
Dai primi rapporti risulta che i danni siano ingenti ma che non ci sia
stata la paventata ecatombe. Sappiamo che il Governo di Tokyo ha chiesto alle
Caritas diocesane giapponesi di attivarsi soprattutto per trovare un rifugio
agli sfollati a causa del pericolo nucleare. Per il resto i bisogni sono quelli
tipici di cataclismi di questo tipo: acqua potabile, cibo, medicinali, tende,
coperte, abiti, utensili da cucina. La Caritas in Giappone è un piccolo organismo che comunque ogni anno riesce a sostenere un centinaio di progetti nel Paese e all’estero per circa 3 milioni di dollari. Si è attivata in passato per grandi emergenze, come lo tsunami del dicembre 2004, il terremoto in Pakistan del 2005 e quello a Yogyakarta nel 2006».
Un ultimo particolare, anzi due.
«Trovo commovente e istruttivo che le Caritas di Paesi asiatici colpiti di
recente da gravi sciagure, cito il
Bangladesh per tutti, si siano mosse con generosa tempestività unita ad
accresciute competenze professionali. Noi italiani, infine, abbiamo un preciso
dovere di riconoscenza. All'indomani del terremoto in Abruzzo, la Chiesa
giapponese finanziò aiuti per un totale di 62.400 euro, la Caritas australiana
ci diede 32.000 euro e quella indonesiana 6.942 euro», conclude Paolo
Beccegato.