03/05/2012
Don Vinicio Albanesi (foto del servizio: Ansa).
Vorremmo che la rassicurazione del ministro dell’Interno a proposito dei militari, «sulla sicurezza non si risparmia», fosse estesa alla salute e all’istruzione: è la richiesta esplicita al Governo. Sono i beni fondamentali di un Paese civile. Purtroppo non è così.
Le risorse per il sociale sono ridotte al lumicino, con crolli di oltre il 50 per cento rispetto a qualche anno fa. Il gioco dei trasferimenti Stato centrale-Regioni-Comuni-famiglie serve a tutelarsi contro le richieste. Il risultato è il peso scaricato sulle famiglie. Situazioni difficili riguardanti gli anziani, i disabili, i minori, la povertà in genere, sono lasciate lì, quasi si trattasse di eventi ineluttabili.
Alla periferia si lasciano le decisioni più dolorose, promettendo – cosa che non avverrà – che la situazione migliorerà, quando la ripresa sarà in atto. Una cantilena ingannevole, sentita da sempre: lasciateci crescere, quando le cose van bene; ora non è possibile, perché la crisi economica è profonda, dimenticando che, nella crisi, i deboli restano i più colpiti.
Nel frattempo si invoca solidarietà: gruppi, famiglie, volontariato che dovrebbero supplire a problemi troppo grandi e ingestibili senza il supporto di una politica sociale robusta. L’attenzione è rivolta alla macroeconomia, quel mondo che ha prodotto il risultato di affidare al 10 per cento delle famiglie italiane il 45 per cento delle risorse. La forbice tra ricchi e poveri si allargherà ancora, perché nella logica di tutelare i tutelati, i ricchi lo saranno sempre di più, e i poveri sempre più numerosi.
Il “Governo dei tecnici” appartiene a quel ceppo di cultura che crede nello sviluppo economico creato dal libero mercato. Insiste a invocare equità, ignorando i capisaldi di un equilibrato convivere sociale. Insegue i mercati, non volendo capire che la speculazione finanziaria non ha cuore, ma gioca con l’unico obiettivo dell’arricchimento.
don Vinicio Albanesi