Hollande e la finta caccia all'evasore

La tassazione sui grandi patrimoni, per com'è congegnata, riguarda solo due o tre mila persone. E la Francia si chiede...

Francia: il caso Arnault

19/09/2012
Bernard Arnault (Corbis)
Bernard Arnault (Corbis)

A vederli insieme, ricordano una canzone di Gloria Gaynor. I will survive sembra dire la faccia stoica di Hollande, mentre Arnault minaccia di sbattere la porta e tende le braccia al Belgio. Alla guida del più grande impero imprenditoriale di Francia, LVMH, Bernard Arnault ha chiesto la nazionalità belga, molto presumibilmente per sfuggire al maglio fiscale francese. La notizia ha ottenuto l'effetto di una bomba, i giornali si sono scatenati, in particolar modo Libération, che col suo titolo-choc "Casse toi riche con" (allusione alla frase "storica" di Sarkozy, "Casse toi pauvre con", rivolta dall'ex presidente a un passante che rifiutò di stringergli la mano) si è beccato una sonora denuncia per diffamazione.

Il tycoon gioca sul filo dell'ambiguità, se da un lato ha respinto con indignazione le accuse di voler abbandonare Parigi, affermando di continuare ad essere residente fiscale sotto la Tour Eiffel, dall'altra ha creato a Bruxelles una fondazione dal nome "Protectinvest", destinata a proteggere il proprio capitale e l'eredità dei propri figli dalle pretese fiscali francesi, una volta che avverrà il suo decesso.

Quest'uomo "fortuné" incarna da solo quasi tutta la gloria del made in France, riunendo sotto la sua egida alcuni fra i marchi più prestigiosi d'oltralpe, da Louis Vuitton, a Dior, allo champagne Dom Perignon, e persino la storica casa di moda Hérmès, di cui é riuscito a ottenere, in un modo ai limiti dell'ortodosso, giocando sui prodotti derivati, e contro la volontà della famiglia Hérmès stessa, il 22% della società. Il vizio di sfuggire agli esattori lo ha coscienziosamente coltivato fin dalla giovane età. Risale al 1981 la sua prima fuga fiscale, destinazione Stati Uniti, dopo l'ascesa al potere di Miterrand. Decisamente, al nababbo francese i socialisti stanno sul gozzo con la loro mania di tassare i ricchi.

Se può, tuttavia, si accorda con loro in nome di azioni più che convenienti. Nel 1984 Arnault si accordò con l'allora primo ministro Laurent Fabius, attuale ministro degli Esteri, per "salvare" dal fallimento il gruppo tessile Boussac. Arnault intascò gli aiuti statali e poi il gruppo e i dipendenti vennero liquidati comunque. Il miliardario ne salvò unicamente le attività più lucrative: la maison Dior e i grandi magazzini "Le Bon Marché", che col loro nome sembrano simboleggiare ironicamente l'esito dell'affare per Arnault.

Di "bon marché", Arnault ne ha fatti parecchi altri, accedendo alla testa di Fendi, Bulgari, Givenchy, e chi più ne ha, più ne metta. La Francia, coi suoi marchi storici, ha quindi dato molto a Bernard Arnault, ma Bernard Arnault non pare voler dare molto alla Francia. La sua figura é ben lontana da quella del miliardario americano Warren Buffett, che dichiarò un anno fa di voler pagare più tasse perché si era reso conto che la sua segretaria aveva, in proporzione, un'imposizione fiscale ben superiore a quella a cui lui era soggetto. Le segretarie di Arnault continueranno dunque a pagare la propria mole di imposte in Francia, mentre con ogni probabilità, Bruxelles accoglierà il miliardario con tutti gli onori.

D'altra parte i giornalisti belgi hanno già fatto i loro bravi calcoli e determinato che il patrimonio di Arnault, da solo, cancellerebbe con un colpo di spugna l'intero debito pubblico belga. Il problema a cui gli zelanti giornalisti belgi, più bravi con la matematica che con la logica, non hanno pensato é che una roba del genere, uno come Arnault, non la farà mai, né in Belgio, né altrove.

Eva Morletto
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