06/03/2012
La curva laziale, punita per i cori razzisti, durante l'ultimo derby. (foto Ansa).
«Abbiamo sempre garantito la legalità delle partite, nel mondo del calcio convivono dimensioni positive e negative ma abbiamo anticorpi per tenere lontano soggetti che cercano di inquinarlo». Parola di Gian Carlo Abete, presidente della Federcalcio, al 1° convegno di alto livello sulla Legalità nello Sport.
Vorremmo avere la stessa certezza, ma quel che c'è attorno non ci rassicura. Lo sport non è un mondo a parte, anche se sogna di esserlo e per certi versi sarebbe bello che lo fosse: se funzionasse sarebbe un buon laboratorio per imparare le regole del gioco. E', invece, organo di un corpo più ampio, il Paese Italia. E ne condivide gli acciacchi.
Gli esami di laboratorio non danno responsi rassicuranti. A vent'anni da Mani pulite la Corte dei conti fa sapere che la corruzione alle nostre latitudini è decuplicata. A vent'anni dalla morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose due comuni liguri, mentre le direzioni distrettuali antimafia di Milano e di Torino non si stancano di denunciare la pervasione del fenomeno mafioso e l'assenza di denunce. Segno che il sistema immunitario del corpo Italia non ha reagito.
Sarebbe bello poter dire che il calcio è diverso, pulito, isola linda e felice di un mondo che lindo non è. Ma i fatti raccontano un'altra verità. Dicono che Calciopoli è esplosa meno di sei anni fa e da quel che vediamo emergere (in fatto di scommesse e di cori razzisti) tutto si può dimostrare meno l'efficacia degli anticorpi.
Preso atto che la prevenzione non ha funzionato, occorre cercare la cura d'urgenza, ma per farlo bisogna prima di tutto ammettere il male. Chi cura non ha l'obbligo di guarire, non a tutto c'è rimedio, ma da qui a dire, con il Pangloss del Candide, tutto va bene nel migliore dei mondi, - pardon dei palloni -, possibili, ne corre.
Elisa Chiari