Calcio, la volubilità al potere

La squadra non gira? Via l'allenatore. In panchina c'è sempre il terremoto. In Serie A quest'anno siamo a 14 esoneri. E se invece mandassimo i presidenti al mare?

07/03/2012
Attilio Tesser.
Attilio Tesser.

Pochi posti al mondo sono instabili come una panchina nel pallone. Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Rispetto ai soldati comunque un lusso, ma volte per cadere bastano poche partite, a volte nessuna. Si perde la fiducia prima di cominciare. Capita che la testa di un allenatore salti ancor prima che i campionati comincino.

Basta che la squadra non giri per un po' (di solito per una serie di ragioni non tutte facilmente individuabili se no il pallone sarebbe una scienza esatta e invece è un gioco pazzo) e il presidente che fa? Caccia l'allenatore e ne chiama un altro. A volte lo stesso che aveva appena mandato via. Accade in questi giorni con Tesser, cacciato sei giornate fa e sostituito con Emiliano Mondonico, e ora richiamato indietro quando ancora stava sbaraccando casa. 

Era capitato in una stagione passata alla storia per manifesta volubilità, quando Moratti sventolò la panca quattro volte in meno di un anno - roba che neanche  "sbandieratori" professionisti alla Cellino o alla Zamparini - per richiamare a poche giornate dalla fine del campionato 1998-99 Hodgson, dimessosi a maggio del campionato precedente. Mentre Lippi era già in predicato di sostituirlo per il campionato 1999-2000.

Quest'anno fanno 14 esoneri dall'inizio del campionato di Serie A (le squadre sono venti). Mondo è solo l'ultimo. Fa notizia per la sua storia, ma dovrebbe farla per altre ragioni. Per esempio per il fatto che cambiare allenatore ogni tre per due, illudendosi che basti una scossa per inventare una squadra che non c'è, quasi che l'allenatore avesse poteri taumaturgici, non funziona quasi mai. Comprensibile che cambiare il tecnico sia percepito come il male minore: costa meno che cambiare i giocatori.

Ma fare una squadra è un lavoro complicato: richiede tempo, psicologia, strategia, tutte cose che non si inventano nello spazio di un mattino. Giocare insieme, e non ciascuno per proprio conto, cosa che fa la differenza tra una squadra e un'accozzaglia 11 giocatori, è un esercizio di relazione anche, non solo di schemi. Se sia più difficile o lungo costruire schemi o relazioni dipende da tanti fattori: il tasso tecnico dei giocatori (una rapa non prende il Nobel neanche se trova il miglior insegnante al mondo); la tendenza più o meno spiccata del presidente a ficcanasare nel rapporto tra giocatori e allenatore; il livello medio degli avversari; l'efficacia della campagna acquisti; l'abilità del tecnico. Non sempre è facile attribuire le percentuali agli elementi di questa alchimia.

Anche perché la controprova non c'è mai. Si potrebbe, però, tentarla lasciando per una stagione intera gli allenatori ingaggiati al loro posto fino alla fine, avendo cura di mandare i presidenti a trascorrere il campionato su una spiaggia caraibica perché non cadano in tentazione. E vedere come va. 

Elisa Chiari
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