Giro, ora Nibali sfida se stesso

Il ritiro di Wiggins spalanca le porte al sospetto ma anche alla vittoria di Nibali. Ceh deve soprattutto battere le proprie paure.

17/05/2013
La grinta di Vincenzo Nibali (Reuters).
La grinta di Vincenzo Nibali (Reuters).

Il ritiro dal Giro d’Italia di Bradley Wiggins, ciclista fatto sir dalla regina Elisabetta per meriti olimpici, nonché nel 2012 primo inglese a vincere il Tour de France, turba e disturba un bel po’, anche se permette di tifare con solido fondamento per l’italiano Vincenzo Nibali, maglia rosa con in fondo poca fatica e adesso chiamato – neve permettendo – a ribadire la sua superiorità sulle grandi montagne, Jafferau e soprattutto Galibier sabato e domenica, Stelvio e ancor più Lavaredo venerdì e sabato della prossima ultima settimana (conclusione a Brescia il 26).

Perché turba e disturba? Perché il ciclismo è sotto perenne sospetto di alchimie, e un corridore importante, un favorito, come appunto Wiggins che fra l’altro si proclamava al via innamorato “sin da bambino” della corsa rosa ben più che di quella gialla, e dunque la degenerazione in infezione polmonare del forte raffreddore che il giorno prima del ritiro gli era costato tre minuti di ritardo sarà senz’altro enfatizzata in negativo dalle malelingue.

Ma turba e disturba soprattutto perché soltanto il futuro peraltro prossimo, che si chiama Tour de France, dirà se davvero Wiggins era venuto al Giro per dargli tutto se stesso e vincerlo o se invece il suo scopo primario era quello di allenarsi – magari remunerato da un ingaggio - alla ben più ricca e grassa corsa francese. Altri lo hanno fatto nel passato anche recente, e pensar male è doveroso persino più che lecito: per fortuna (della verità, non del corridore) che chi lo ha visto al Giro lo dice davvero malaticcio. A meno di credere che il Giro, questo Giro, sia davvero durissimo, e che il ritiro di Wiggins, poche ore prima del via della tappa più lunga (254 km e quarta volata per il suo connazionale Mark Cavendish, allo sprint vittorioso numero 101) e nell’imminenza di scalate tremende su vette minacciate dal maltempo, sia dovuto quanto meno alla prudenza, “aiutata” da qualche sternuto di troppo.

In fondo Wiggins, 33 anni, è un ex pistard onusto di gloria da velodromo (in pista fra l’altro tre vittorie olimpiche, più quella su strada a cronometro ai Giochi di Londra 2012, e dieci titoli mondiali come inseguitore): troppa montagna magari con neve può legittimamente essere da lui considerata come una grossa insidia al fisico. Wiggins, moglie e due figlie, è uno che si proclama contadino nello spirito, abituato alla vita semplice e cultore della salute primaria, niente a che vedere con il ciclista fachiro amico delle sofferenze estreme.

Contemporaneamente a lui ha lasciato febbricitante anche Ryder Hesjedal, onesto canadese vincitore a sorpresa del Giro los corso anno con 16” sullo spagnolo Rodriguez, senza conquistare una tappa e grazie agli abbuoni per i piazzamenti. Nessun turbamento, in questo caso, ma una normale constatazione di crisi, di debolezza di un campione per una stagione.

Nibali, moglie e figlia, messinese di 29 anni detto “lo squalo dello Stretto” sin dalle prime pedalate aggressive, da ragazzino voglioso, ha preso presto la maglia rosa, senza farlo troppo apposta, poi si è dimostrato forte, bravo, attento in salita, e adesso viene facile ma intanto automatico dire che il Giro dovrebbe davvero essere suo. Nibali, che l’anno scorso privilegiò il Tour però fallendo l’obiettivo, ha vinto nel 2010 la Vuelta, cioè il Giro di Spagna, ed ha avuto sin qui un ottimo rapporto con la nostra corsa a tappe: terzo al Giro nel 2010 e secondo nel 2011, mentre Wiggins su cinque partecipazioni non era mai andato meglio del 40° posto nel 2010.

Nello squadrone Sky Rigoberto Uran, colombiano di 24 anni, succede a Wiggins come capitano, mentre Nibali ha lo squadrone Astana al suo servizio, e soprattutto ha due minuti di vantaggio sul rivale che ha vinto la tappa di Montasio, primo arrivo in salita del Giro. Nibali non ha in programma di correre il Tour, che può diventare a questo punto traguardo stagionale assoluto per Wiggins, e può spendersi tutto sulle strade del Giro, diventando il primo siciliano in rosa finale, nella storia di un Giro dove sinora il nostro corridore più meridionale capace di vincere era stato l’abruzzese Danilo Di Luca nel 2007.

Il problema dello Squalo sembra a questo punto essere per linee interne, dentro la testa e le gambe e il cuore suo, non intorno a lui nel senso di corridori particolarmente minacciosi. Sarebbe bello poter temere per Nibali l’eccessiva pressione popolare, con l’enfatizzazione di quello che nel calcio è il fattore-campo, perché questo vorrebbe dire l’esistenza, la persistenza, la resistenza in questa povera ultima Italia di un ciclismo ancora grande sport nazionalpopolare. Vero che le strade del Giro sono sempre cintate di folla, e che il pallone ha concluso il suo campionato lasciando spazi liberi per altre pulsioni, ma insomma si deve pensare ad un Nibali che con il suo stipendione kazako non sarà travolto da nostrane genti festanti e sanamente, alla buona, riconvertite alla bicicletta, ma piuttosto incoraggiato e poi – si spera - celebrato da gente seria e competente, e pazienza se preoccupata da un mondo “altro” che sembra impossibilitato a vedere rosa.

Gian Paolo Ormezzano
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