14/06/2012
Alessandro Cecchi Paone
Alessandro Cecchi Paone ha dato i numeri senza fare tutti i nomi: in Nazionale ci sarebbero due calciatori omosessuali, uno dei quali un tempo amico suo, due calciatori bisessuali, tre calciatori eterosessuali anzi metrosexual, cioè eterosessuali però dediti ad una cura del corpo e degli abiti tipicamente femminile. Questi ultimi tre sarebbero Abate, Giovinco e Montolivo.
Il calciatore Antonio Cassano durante la conferenza stampa agli Europei di calcio (Ansa).
La dichiarazione composita del celebre personaggio televisivo,
protagonista di un outing di adesione personale all’omosessualità poco
dopo avere festeggiato le nozze con una bellissima spagnola, è stata
offerta, come un pallone da palleggiare, ad Antonio Cassano, mandato in
conferenza-stampa dal citì Prandelli a parlare di un po’di tutto, di
Balotelli suo sciagurato compagno d’attacco contro la Spagna (meglio
Cassano investito del ruolo di portavoce azzurro di giornata di
Cassano che si mette magari a parlare a ruota libera, deve avere pensato
lo stesso Prandelli), come delle frasi di Cecchi Paone, in fondo non
inattese visto che da tempo circola nel calcio la domanda ormai rituale
alla quale manca una risposta univoca: ci sono gay nella calcio? E nella
Nazionale?
Il giocatore, appunto replicando a Cecchi Paone dietro sollecitazione di un giornalista, ha detto di non saper
niente di gay in squadra, ha precisato che comunque non sono affari
suoi, ma ha usato, nel dirlo, anche almeno un termine pesante, da omofobo. E
ha dovuto scusarsi, disomofobizzarsi. Grande la eco, molti i rumori di
fondo. Nel migliore dei casi, un diversivo, visto che ci si sta
appropinquando al match con la Croazia in piena angoscia, come da
copione. Comunque l’argomento non sembra chiuso, anche se non si capisce
bene perché sia stato aperto. Per inciso segnaliamo che nel Mondiale
del 2010 in Sudafrica c’era nella squadra azzurra un calciatore con seri
problemi di cocaina, ma non se ne parlò, chissà se per paura, per
rispetto o per mancanza di un Cassano dedito alle sue cassanate.
Nel non lontanissimo anno 1982, in occasione del Mondiale in Spagna, bastarono due intriganti righe su un giornale italiano, con riferimento al semplice fatto che Paolo Rossi ed Antonio Cabrini avevano voluto dormire nella stessa camera, per scatenare le malissime lingue e obbligare il citì Bearzot ad instaurare il silenzio-stampa, promuovendo anzi obbligando il quasi muto Zoff a portavoce. La squadra, tranquilla, arrivò al successo finale. Chissà adesso.
La domanda con cassanata praticamente incorporata nella risposta era comunque nell’aria. Pochi mesi fa c’erano state voci di presenze gay fra i calciatori italiani, Marcello Lippi ex citì le aveva escluse, almeno fra gli azzurri cioè nel mondo più suo, mentre Damiano Tommasi, presidente dei calciatori, non aveva escluso il fenomeno però aveva invitato tutti a non andare a fondo col gossip e altro, ritenendo l’ambiente del calcio nostro non ancora maturo per affrontare il tema con forza e chiarezza. Il festival del film omosessuale di Torino aveva fatto da cassa di risonanza alla questione, con produzioni sull’outing anche nello sport
E c’era stato chi, raschiando nel barile della memoria più che sfogliando archivi poveri, aveva ripescato voci peraltro assai vaghe di omosessualità di giocatori nel giro della Roma del primo dopoguerra, nonché voci decisamente meno vaghe riferentisi a un gruppo di calciatori laziali, vicini allo scandalo del Totonero (dunque a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta) e vacanzieri particolari di gruppo in un resort dentro un’oasi algerina. Niente di più, e la questione dell’omosessualità nel calcio (mai sfiorati altri sport) era rimasta in sonno per anni e anni, al massimo con pettegolezzi sparsi e deboli su Tizio e Caio. C’era stata – ecco - una vignetta impagabile, l’ammucchiata dei calciatori a festeggiare un gol e uno che, sommerso dagli abbracci dei compagni, dice ad un altro impegnato a omaggiarlo come tutti: “Ma noi due dobbiamo continuare a frequentarci così?”.
Andando molto ma molto indietro, agli anni Trenta, si trova però qualcosa di, come dire?, fondato, anche se non fra calciatori in attività: un celebre allenatore fu cacciato dal suo celeberrimo club, dopo una serie di campionati vinti anzi dominati, per sospetti forti di omosessualità da spogliatoio (si mormorò anche di pedofilia); un celebre ex calciatore, divenuto celebre allenatore dopo essere stato fra i giocatori preferiti in casa Mussolini, nonostante il fascismo machista fascista da lui esibito, fu sempre sospettato di mancanza di coraggio per fare o accettare quell’outing che invece al suo predecessore era stato praticamente e rudemente imposto.
Da registrare infine anche la scoperta di una omosessualità, come dire?, trasversale italo-brasiliana: quella di un calciatore sudamericano, in arte calcistica Vampeta, assunto dall’Inter (roba di pochi anni fa), tenuto pochi mesi e quasi mai fatto giocare perché troppo frivolo ed etereo sul campo, lui che era in realtà un’icona “ufficiale” del mondo gay del suo Brasile, dove animava riviste, poster, scene di vita assolutamente extracalcistica.
Gian Paolo Ormezzano