11/12/2010
Sergio Marelli, segretario generale della Focsiv, la Federazione italiana che coordina gli organismi cristiani di servizio internazionale volontario.
Cancun (Messico), dicembre 2010.
Ad eccezione del capo negoziatore boliviano, Pablo Solon, alla fine a Cancun i 194 Paesi partecipanti alla 16°
conferenza Onu sui cambiamenti climatici hanno approvato il documento finale
proposto dalla presidente della Conferenza, la messicana Patricia
Epsinosa. Sicuramente va dato a lei buona parte del merito di questa
conclusione: senza la sua tenacia e la sua capacità di convincimento dei
Governi presenti, presi ad uno ad uno, la Cop 16 (questa la sigla del sedicesimo incontro planetario nel nome della tutela del climatico-ambientale del pianeta) sarebbe stata un secondo flop ad un anno da quello di Copenaghen. La bocciatura
da parte della Bolivia, che per tutta la durata della Conferenza ha sostenuto
la posizione più intransigente, pur prevedibile nei contenuti, ha di certo
fatto scalpore per il modo eclatante con cui è stata comunicata in plenaria.
A mio parere, nonostante la
mediazione fatta al fine di rinviare molte delle decisioni concrete a ulteriori
negoziati che proseguiranno in preparazione del prossimo appuntamento previsto
a dicembre del 2011 in
Sud Africa a Durban, vanno riconosciuti i passi in avanti compiuti rispetto a
Copenaghen e, soprattutto, si deve tirare un sospiro di sollievo per lo
scampato rischio di un altro nulla di fatto. I 30 miliardi di dollari confermati per la
cosiddetta “fast start”, la fase di avvio delle prime azioni immediate, i 100
miliardi all’anno da stanziare da qui al 2020 per le iniziative a medio termine
di adattamento nei Paesi in via di sviluppo e la creazione di un “green fund”,
il fondo verde per sostenere lo sfruttamento delle energie rinnovabili, sono buoni
presupposti per le scelte e gli accordi futuri.
Tuttavia ritengo ancor più
positiva la decisione di proseguire nel perseguimento degli obiettivi del
Protocollo di Kyoto oltre la scadenza del 2012. A Copenaghen, infatti,
l’opposizione di alcuni Paesi “grandi inquinatori”, come Giappone, Russia e
Canada, che avallava la non ratifica del Protocollo da parte degli Usa, e l’immobilismo
di Cina e India che utilizzavano strumentalmente la refrattarietà americana pur
di non compromettersi con gli obiettivi di mitigazione fissati a Kyoto, avevano spento ogni speranza.
Certo non sto commentando un
successo all’altezza delle aspettative e delle necessità. Per limitare il
surriscaldamento globale a soli 2° centigradi e, di conseguenza ridurre le
emissioni di gas serra del 40% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050, il
pianeta necessiterebbe di ben altro. Ciò che imporrebbe la ragione e la
responsabilità a chi governa il mondo al fine di garantire un futuro
sostenibile, è molto più di quanto stipulato a Cancun. Sicuramente, servirebbe rendere
vincolanti, cosa non prevista nell’accordo finale di Cancun, gli impegni assunti e le promesse fatte, sia
nelle quantità che nei tempi di attuazione fissati. Già nei prossimi mesi si
potrà vedere se i tagli alle emissioni nocive, che dovranno scendere di
percentuali tra il 25 e il 40% prima del 2020, saranno effettuati o se rimarranno
solo buone intenzioni e se le risorse promesse si tramuteranno in soldi veri.
A
Durban, fra un anno, si potrà iniziare a tirare le somme e giudicare se non
fosse stato meglio dar ragione alla Bolivia.
Ciò che preoccupa è che, intanto, il pianeta continuerà piano piano a
morire.
Sergio Marelli, 5 - fine