Ecuador, la luz d'América

Viaggio nelle strade di Quito per il progetto di Engim Internazionale dedicato a bambini e adolescenti: scuola e sport per costruirsi un futuro. Il racconto di una volontaria

Patas arriba... gambe all'aria

17/12/2012

«Avete presente l’ombelico del mondo? Sì, quello di cui parlava Jovanotti, il luogo in cui si incontrano facce di una bellezza disarmante, pelle di ebano e occhi smeraldo. Il luogo in cui si risale dentro se stessi per imparare a respirare, e dove l’amore diventa azione. Dove non esistono regole, ma solo eccezioni. L’ombelico del mondo insomma. Ecco, benvenuti a Fundeporte! 240 giorni in attivo. 320 nuovi nomi imparati. 9 (uno più uno meno) coinquilini. 5 giorni lavorativi settimanali. 6 pianti. 1 operazione. Bisogni: zero. Desideri: infiniti. In sintesi: l’esperienza più bella della mia vita! Sono partita otto mesi orsono con una valigia di sogni e il cuore pieno di tristezza per tutto quello che stavo lasciando in Italia. La mia cagnolina, la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro. Un anno in Sud America. Sono partita senza aspettative, con l’unico proposito di tenere il più possibile occhi, orecchie e cuore aperti. E non è stato sempre facile. Perché, inevitabilmente, questo ha comportato il mettermi in gioco: rivalutare tanti dei miei comportamenti, tante delle mie convinzioni, tante delle mie sicurezze. Ho, da sempre, fatto molte domande, malata di curiosità, ma mai come ora ho ascoltato (temo). Catapultarsi in un mondo così diverso dal nostro disorienta, ribalta i valori. Si impara ad ascoltare i gesti, a vedere i silenzi. Perché senza capire, e rispettare, non puoi essere accettato. E, di conseguenza, non puoi guadagnare quella fiducia che è l’unica che può condurre al cambiamento (di entrambe le parti in causa). Quindi ho continuato a chiedermi perché gli ecuatoriani parlano (e pensano) così tanto all’amore, perché è così difficile per loro organizzarsi, perché mangiano banane fritte o zuppa di cipolle per colazione. Mi sono chiesta perché alzano così facilmente le mani, perché faticano a dare un nome ai loro sentimenti. Perché esistono la violenza domestica, la violenza sessuale, il lavoro minorile, la vita in strada, i tradimenti, la dipendenza, l’autolesionismo. Sapete cos’ho imparato?

Che un sorriso e un complimento vincono sempre su una critica.

Che gli abbracci sono la migliore medicina.
Che se mangi fritto alla mattina poi non ti viene fame fino alle tre del pomeriggio.
Che se si cresce in una famiglia in cui si ruba, ci si alcolizza e ci si droga, a 12 anni si ritiene normale fare questo genere di cose.
Che se se sei sempre stato solo non puoi capire cosa sia una famiglia.
Che tante persone che collaborano per un risultato, possono produrre un cambiamento reale e tangibile. 
Che ci sono tante forme di amare. 
Che ci sono tante forme di chiedere scusa. 
Che ci sono tante forme di chiedere aiuto.
Che si deve predicare, innanzitutto, con l’esempio. 
Che l’impegno produce risultati.
Che l’altura rende difficile respirare, correre e produce gas nella pancia.
Che anche mangiare costantemente riso, produce gas nella pancia.
Che a volte le distanze sembrano annullarsi. Altre, invece, paiono incolmabili.
Che la condivisione rende qualsiasi momento più speciale.
Che, però, anche la solitudine è necessaria.
Che senza pazienza non si va da nessuna parte. 
Che esistono infinite tonalità di grigio.
Che la fotografia, il gioco e il movimento sono ottimi strumenti di comunicazione.
Che la semplicità è un dono, ma anche una conquista.
Che bisogna imparare la serenità di accettare le cose che non si possono cambiare, il coraggio di cambiare quelle che possono e la saggezza di discernere la differenza.
Che non importa quanto si sia sofferto, mai sarà impossibile essere felici.
Che aprire (o riaprire) il cuore è la prova più difficile che la vita ci pone davanti ogni giorno.

Per tutto questo ringrazio i ragazzi di “Su cambio por el cambio”, uno per uno, sono loro a rendere questa esperienza (e la mia vita di ora) tanto ricca. Ringrazio le mie compagne di avventura, il personale del progetto, tutti quelli che mi hanno permesso di essere qui. E ringrazio quelli che, leggendo queste righe, hanno pensato che (forse) vale la pena mettersi “patas arriba”, ossia gambe all’aria, andando oltre le convenzioni e gli stereotipi. La vita, e il futuro, sono tutti da scrivere, tanto vale scriverli bene. MuoviAm(iam)oci.

Alberto Picci
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