30/09/2012
Bambini nella periferia di una città indiana. Foto Thinkstock.
“La cooperazione
internazionale che vogliamo”. Titolo diretto e
chiaro. Come del resto il contenuto. È il documento presentato nei
giorni scorsi dall’Associazione delle Ong Italiane (Aoi), da Cini e
da Link 2007, organismi che rappresentano insieme la quasi totalità
del mondo del volontariato italiano nel mondo.
In vista del Forum sulla
Cooperazione che si tiene a Milano il 1° e 2 ottobre, voluto dal
ministro Riccardi, le Ong hanno voluto in pochi e chiari punti le
priorità del nostro aiuto allo sviluppo verso i Paesi del Sud del
mondo.
Il documento indica
innanzitutto la “necessità di un salto
culturale, imposto dai cambiamenti della globalizzazione”,
per “superare la tendenza all’introversione e
valorizzare le capacità di proiezione internazionale”.
La cooperazione allo
sviluppo, sottolineano le Ong, è “una
componente qualificante delle relazioni internazionali del nostro
Paese, dato che contribuisce a incidere sulle
dinamiche della globalizzazione per ridurre i problemi e le cause
della povertà e degli squilibri globali, che rischiano di
coinvolgerci tutti”. È inoltre “doverosa
e necessaria, per dare credibilità e
riconoscimento politico al ruolo dell’Italia nel mondo”,
ed è “nostro interesse stabilire rapporti di
cooperazione con Paesi che, se adeguatamente sostenuti, potrebbero
non solo accelerare il processo di emancipazione economica e sociale
ormai avviato, ma anche divenire partner preziosi in processi di
sviluppo a vantaggio reciproco”.
Aoi, Cini e Link 2007
analizzano anche la situazione della realtà italiana: “Anche
se molto è stato fatto”, scrivono, “la
cooperazione allo sviluppo non è riuscita ad acquisire un ruolo
politico centrale e permanente nella politica
internazionale dell’Italia”. Darti e cifre lo
confermano: “Gli stanziamenti per la
cooperazione gestita dal ministero degli Esteri sono diminuiti
dell’88% in soli quattro anni. Mentre a livello europeo la media
degli stanziamenti per lo sviluppo ha superato lo 0,40% del PIL,
l’Italia è, nella realtà, al di sotto dello 0,15%”. E
ciò, insieme agli impegni non mantenuti, “ha
reso spesso inutile o ininfluente” l’azione
italiana. “L’immagine internazionale
dell’Italia si è così logorata, fino ad essere ritenuta
inaffidabile”.
La qualità
della cooperazione allo sviluppo è una delle
grandi attenzioni delle Ong. Il testo sottolinea che essa può essere
garantita solo mettendo in pratica alcuni principi fondamentali: la
coerenza delle politiche ai fini dello sviluppo, la relazione di
partenariato, l’efficacia degli aiuti e dello sviluppo, la
trasparenza, la garanzia del finanziamento senza discontinuità, la
professionalità.
Per le Ong, la
dimensione europea della Cooperazione allo sviluppo dovrà
assumere un ruolo crescente, con una maggiore attenzione e
partecipazione dell’Italia, che dovrà essere “più
presente oltre che più attiva nella definizione delle politiche e
delle scelte e nell’attuazione della cooperazione europea”;
fare propri ”i principi e le linee politiche e
operative adottati a livello europeo”.
Lo
stesso ruolo andrebbe ritrovato anche a livello
del sostegno alle agenzie internazionali e delle Nazioni Unite (la
cosiddetta cooperazione multilaterale), dove
l’Italia sta perdendo credibilità.
Il documento suggerisce
anche alcuni criteri per un’attenta definizione
delle priorità geografiche e settoriali dell’aiuto
ai Paesi poveri del nostro Paese.
Le Ong considerano
l’istituzione del Ministro per la cooperazione
internazionale e l’integrazione come
“un’innovazione positiva perché ha ridato
centralità politica all’aiuto pubblico allo sviluppo, come parte
integrante e qualificante della politica internazionale dell’Italia”,
anche se le poche deleghe ricevute hanno lasciato aperti conflitti di
competenza e ridotto il ruolo del Ministro.
Ma il nostro volontariato
internazionale chiede di più: una nuova “architettura
istituzionale, politica e gestionale, che assicuri maggiore coerenza,
efficacia, professionalità, trasparenza”.
Propongono perciò la creazione “di un
alto riferimento politico dedicato alla cooperazione allo sviluppo:
un ministro alla
presidenza del Consiglio, con specifico dipartimento, oppure un
viceministro agli Esteri, con
delega sull’intera materia e partecipazione al Consiglio dei
Ministri”; e “un Comitato
interministeriale per definirne gli indirizzi e
la programmazione pluriennale e garantire la coerenza, ai fini dello
sviluppo, dell’insieme delle politiche relative ai Paesi partner, o
che possano influire su di essi».
Le Ong insistono anche sul
fatto che si arrivi alla nascita di un Fondo
unico, che dia coerenza ai relativi capitoli di
spesa per la cooperazione, che oggi sono divisi in mille rivoli e nei
bilanci delle singoli amministrazioni.
E chiedono
la creazione di “un’Agenzia
attuativa, allo scopo di garantire le competenze
necessarie, appropriati processi di carriera professionale, accumulo
di conoscenze e valutazioni, strumenti tecnici e di controllo,
autonomia gestionale e procedurale, pur nella severità della
gestione”.
Infine la nuova legge
sulla cooperazione (quella attuale ha ormai 25 anni): negli ultimi
tempi se ne parla con insistenza vista l’accelerazione
ai lavori impressa dalla Commissione Esteri del Senato. Le
Ong rinnovano la richiesta urgente di un nuovo testo normativo:
“Occorre mettere fine ai quindici anni di
tentativi falliti di riforma legislativa,
chiudendo definitivamente la fase della legge 49
del 1987”.
“Questo Parlamento
ha la possibilità di farlo”, scrivono, “a
tre condizioni: approvando in Senato, con
emendamenti migliorativi, il testo unificato prodotto in questi mesi
dalla Commissione Esteri; recependo, nel successivo passaggio alla
Camera, le proposte condivise che emergeranno dal Forum; favorendo le
opportune sinergie tra Parlamento e Governo”.
In conclusione, le Ong
sottolineano di esprimere le proprie posizioni “forti
della loro storia, della pluridecennale esperienza operativa in quasi
tutti i Paesi del Sud del mondo, fino all’‘ultimo miglio’ e le
più gravi crisi umanitarie, avendo fatto tesoro degli errori e
arricchite dall’incontro e confronto continuo con i partner, le
comunità e istituzioni locali e nazionali dai Paesi in cui hanno
operato”.
Luciano Scalettari