Più di un appello: non lasciamoli soli

Gli anniversari, anche quelli dalle tragedie peggiori come il terremoto in Emilia del 2012, servono a non dimenticare. Qui, le storie di chi non ha bisogno di anniversari

I numeri hanno un volto/1

22/05/2013

Alice Ferrarini, 36 anni, è presidente della cooperativa “La mano sul berretto”, fortemente radicata nell’area nord della provincia di Mantova con 31 persone in servizio che si occupano di progetti a sostegno delle comunità di migranti e di tutela del verde pubblico, favorendo l’inserimento lavorativo delle categorie più svantaggiate. Il terremoto del 20 maggio danneggia gravemente un capannone in cui sono custoditi alcuni mezzi agricoli. Con la scossa del 29 maggio, la sede della cooperativa situata in località Bottegone diventa inagibile.

I dipendenti decidono di non interrompere le attività e per un anno intero lavorano all’interno di un piccolo container
portando avanti, tra l’altro, un fondamentale intervento di mediazione dei conflitti culturali tra persone italiane e straniere alloggiate nelle tendopoli della zona. Da 10 giorni “La mano sul berretto” ha finalmente trovato una piccola sede in affitto. «Dal punto di vista della crescita interna - spiega Alice - il terremoto è stato un dramma ma anche una grande opportunità. Abbiamo scoperto una straordinaria coesione tra il nostro staff e abbiamo imparato a operare nell’emergenza, accreditandoci come un interlocutore credibile sul territorio».

Giacomo, 46 anni, lavora nell’isola ecologica di Camposanto dal 2010 come collaboratore della cooperativa “La mano sul berretto”. Il 20 maggio non si rende conto della gravità del terremoto e, a differenza di tutti i suoi vicini, torna in casa mettendosi a dormire. La scossa del 29 maggio, invece, ha un epicentro molto vicino e lo terrorizza. «Mi ha sorpreso nel sonno - racconta - e mi sono trovato la via di uscita bloccata da un mobile che era stato spostato dalla violenza del sisma. Ho avuto paura soprattutto quando, nello scappare, ho visto che le scale si erano staccate dal muro e avevano crepe spaventose».

A breve la casa di Giacomo sarà demolita. Dopo aver dormito i primi giorni all’aperto sotto la tettoia dell’isola ecologica, accanto ai bidoni in cui si raccolgono neon, pile e lampadine, ha chiesto il permesso all’azienda che gestisce i rifiuti trascorrendo tutta l’estate nel minuscolo container situato all’interno della discarica. Oggi, grazie al contributo CAS che incentiva la popolazione a trovare una sistemazione autonoma, vive in un piccolo appartamento in affitto insieme al fratello. «Il terremoto mi ha insegnato a mantenere la calma anche nelle situazioni più difficili. Nonostante tutto quello che mi è successo, mi sento un uomo fortunato per il solo fatto di essere sopravvissuto. Sono sicuro che la gente dell’Emilia ce la farà, perché ha un approccio positivo alla vita». 

Pakyza, 12 anni, ha partecipato a un corso serale di italiano organizzato - grazie all’aiuto di Cesvi - dalla cooperativa “La mano sul berretto”: «Sembravano tenebre che urlavano sotto la terra». Il terremoto del 20 e 29 maggio rende inagibile la casa di Finale Emilia in cui vive da sei anni con i genitori, due sorelle e due fratelli. La famiglia viene alloggiata per i primi tre mesi nella palestra del campo sportivo.

«Poi ci hanno proposto di andare in un hotel a Palagano, un paesino di montagna, per tre giorni - racconta Pakyza. Ci siamo rimasti tre mesi, non avevamo nulla, nemmeno i vestiti. Ma tutta la comunità ci ha aiutato e non ci ha fatto mancare nulla». Nel settembre 2012 Pakyza ritorna in paese con i familiari e ricomincia regolarmente la scuola in una struttura prefabbricata.

La mamma, 41 anni e un viso scavato dalla fatica, frequenta il corso per migliorare il suo livello di italiano e integrarsi meglio nel nostro Paese. Il padre lavora grazie alla formula della “borsa lavoro” messa a disposizione dal Comune di Finale Emilia, accompagnando i bambini sullo scuolabus. Per l’estate dovrà trovare un altro impiego che gli permetta di mantenere i cinque figli.

Tanya, 46 anni, vive in Italia da 15 anni. Parla molto bene la nostra lingua, con un buffo accento che tradisce la sua lunga permanenza a Napoli, ma è desiderosa di migliorare il suo italiano scritto. Per questo frequenta con entusiasmo il corso promosso da “La mano sul berretto” a Finale Emilia. Lavora come badante di una donna di 83 anni affetta da Alzheimer.

«Dopo il terremoto - racconta - il mio lavoro è diventato molto più pesante. Prima mi occupavo solo di cucinare e di stirare, mentre ora devo badare alla nonna 24 ore al giorno, anche durante la notte. Con il sisma la condizione degli anziani è gravemente peggiorata, tanto che il disagio si manifesta anche con incubi e deliri notturni. In questi mesi ho preso l’abitudine di segnare su un quaderno quante ore riesco a dormire ogni notte».

Nonostante tutto, Tanya è felice del suo lavoro e di come è stata accolta dai parenti dell’anziana donna, che sono per lei come una famiglia. Il suo grande rimorso è quello di avere lasciato in Ucraina la figlia, che oggi ha 26 anni, con un padre che si è rivelato assente e inetto. «Voglio portare a termine il mio impegno in Italia - dice - perché ho un forte senso di responsabilità verso la mia famiglia italiana. Quando non avranno più bisogno di me, sogno di tornare in Ucraina, dove mia figlia e il mio nuovo compagno mi stanno aspettando».

Alberto Picci
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