30/12/2011
Manduria, oggi: l'area dove sorgeva la tendopoli è solo deserto, silenzio, ricordo (foto: Fulvio Colucci).
La tendopoli di Manduria è stata una marea. In silenzio è arrivata sul far della primavera, nell'ex aeroporto militare sulla strada che porta a Oria, a cavallo tra le province di Taranto e Brindisi. In silenzio rifluisce adesso, nelle ore in cui il 2011 sfuma in lenta dissolvenza, lasciando un vuoto spettrale fatto di tende smantellate e di ritardi burocratici che portano le aziende impegnate nella sua costruzione ad agognare il pagamento atteso da tempo.
Manduria sul finire di novembre (foto: Sabrina Ciancia).
Erano più di tremila i tunisini stipati fra marzo e aprile, durante l'emergenza esplosa con la cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini. Sono stati migliaia i profughi subsahariani, tra maggio e settembre. Una
marea infinita di colori: l'azzurro delle tende e i tanti riflessi di
uomini, donne, bambini, in fuga dalla guerra, dalla fame, dalle
malattie, dalle persecuzioni, dalla disperazione. L'idea del mare e
di un'arca alla quale aggrapparsi, ecco cos'è stata Manduria dalla fine
di marzo, quando il Governo, allora guidato da Silvio Berlusconi,
decise di trasferire qui i primi mille tunisini dei 20mila sbarcati a
Lampedusa per svuotare l'isola superando l'emergenza.
Da sinistra: Anis e Badreddin, i due tunisini tornati alla tendopoli prima di Natale per rievocare la loro storia (foto: Sabrina Ciancia).
I ricordi pungono. E Badreddin e Anis, due giovani nordafricani tornati alla tendopoli, ora
che tutto è rifluito lasciando spazio a un immenso deserto col suo
vuoto e l'urgenza del racconto, contengono a stento le emozioni: «Sono
stati giorni difficili. L'attesa del permesso di soggiorno, l'ansia di poter raggiungere famigliari e amici, tutto sembrava consumarci. Piangevamo. La gente di Manduria, Oria, Sava ci ha sostenuto. Hanno
dato forza e coraggio a noi che non sapevamo dove fossimo, che
scappavamo, ma, in realtà, avevamo davanti l'ignoto come la notte in cui
traversammo il Mediterraneo».
Parole che vibrano nel deserto dell'ormai ex tendopoli . Par di vederli ancora galleggiare i “fantasmi” dei tremila che, il
due aprile, premendo ai cancelli del Centro di accoglienza e
identificazione, uscirono al grido di «Liberté!», segnando la storia di
questo pezzo di Salento, tra paura e solidarietà, ma anche delle vicende migratorie che hanno interessato il nostro Paese negli ultimi anni.
Foto: Fulvio Colucci
Badreddin e Anis sono tornati da reduci alla tendopoli. Loro hanno
scelto di restare a Manduria. Il primo ha il permesso di soggiorno per
motivi umanitario prorogato di sei mesi. Il secondo ha, invece, il
permesso di lavoro che scade fra un anno. «“Il Salento ci ricorda la
nostra terra», dicono i tunisini sorridendo e gettando uno sguardo alla
suggestiva campagna che ha fatto da cornice alle vicende della
tendopoli: ulivi e muri a secco in quella contrada dal nome evocativo:
Tripoli. «Il futuro è il lavoro», ricorda Badreddin e i giovani rimasti
tra Manduria, Oria e Sava sono muratori, saldatori o lavorano negli
alberghi. Qualcuno cerca ancora occupazione. Il tributo pagato a quel
tremendo aprile, tra fughe, razzismo, polemiche, disagi rimane nella
storia.
Ma è storia anche la Domenica delle Palme, quando con mani sapienti, i
tunisini intrecciarono palme fiorite donandole ai volontari, alle forze
dell'ordine, ai giornalisti. Un segno di pace e fratellanza, dall'arca della disperazione.
Fulvio Colucci