18/05/2012
Alcuni educatori con delle madri e i loro figli in una comunità del Gruppo Abele, nei pressi di Torino. Foto: archivio Famiglia Cristiana; la foto di copertina e dell'agenzia Corbis.
L’ultima sorpresa, dal retrogusto amaro,
riguarda l’accoglienza. I soldi promessi
lo scorso anno dal Governo
per dare una mano ai profughi arrivati
dal Nordafrica sono finiti nel pacchetto
Salva Italia. Chi s’è occupato di dar loro un tetto,
sfamarli, vestirli e seguirli nel laborioso
iter per la richiesta di asilo politico ha scoperto
di lavorare in perdita perché non ci sono
fondi per pagare i servizi erogati sul finire del
2011. Per il 2012, salvo rapida inversione di
rotta, va anche peggio dato che non è previsto
alcun impegno di spesa. Fatti velocemente
i conti, s’è visto che all’appello mancano
450 milioni di euro. Mica briciole.
A denunciare pubblicamente la vicenda è
stato Filippo Miraglia, responsabile nazionale
di Arci Immigrazione. Anche la Caritas italiana,
che da sola gestisce 3 mila degli oltre 20 mila
posti attivati per accogliere i profughi, ha
fatto sapere di essere «profondamente preoccupata». Risulta che il presidente del Consiglio
Mario Monti, il ministro dell’Interno Annamaria
Cancellieri, e quello per l’Integrazione
Andrea Riccardi abbiano subito messo mano allo scottante dossier. Ma si sa, la coperta è
corta e le esigenze sono tante...
C’era una volta il welfare. Oggi rischia di
non esserci più, anche se l’attuale esecutivo
sta lavorando a un piano urgente da oltre due
miliardi. Molte voci, comunque, sono a secco.
È un fenomeno che caratterizza l’Europa
intera, per quanto ogni Stato faccia storia a
sé. Dalla Grecia al Regno Unito, passando da
Italia, Francia e Spagna, è stato calcolato che
l’austerità abbia fin qui bruciato 230 miliardi
di spesa sociale. Non si tratta di operazioni
indolori. «C’è stanchezza per una pratica del
rigore che colpisce senza aggiustare, per un
Leviatano che soggioga senza dare sicurezza»,
ha scritto l’editorialista Barbara Spinelli.
Il servizio d'aiuto a domicilio per anziani. Foto archivio Famiglia Cristiana.
Qual è la situazione, oggi? Cosa significa nella vita quotidiana di chi fa più fatica a vivere
perché anziano, solo, malato, disabile, reduce
da brutte esperienze figlie di fragilità personali?
Famiglia Cristiana l’ha chiesto a quattro
sacerdoti impegnati da tempo a fianco degli
“ultimi”: don Vinicio Albanesi (Comunità
di Capodarco), don Luigi Ciotti (Gruppo Abele,
Libera), don Antonio Mazzi (Fondazione
Exodus), don Armando Zappolini (presidente
del Cnca, il Coordinamento nazionale delle comunità
d’accoglienza). Le
versioni integrali delle loro riflessioni possono essere lette cliccando
sui loro volti pubblicati nello speciale accedendo alquale è possibile
anche sottoscrivere il loro appelloin difesa dello stato sociale.
«La causa dell’erosione del welfare è culturale
e politica, prima che economica», esordisce
don Armando Zappolini: «la crisi ha offerto
un ottimo alibi per perseguire il progetto
dell’aggressione a un sistema di protezione
sociale e di diritti di cittadinanza che secondo
molte personalità, anche autorevoli,
“non ci possiamo più permettere”». «Bisogna
risalire agli anni ’80, quando, in Italia, è iniziata
una nuova redistribuzione del reddito
a favore dei più forti», precisa don Luigi
Ciotti. «Si calcola che da allora a oggi, dalle
tasche dei lavoratori (salari e stipendi) ci sia
stato un trasferimento di ricchezza ai profitti
e alle rendite, in particolare a quelle speculative,
del 20 per cento. S’è ricreata, insomma,
un’altissima disuguaglianza sociale, per cui
siamo oggi tra le prime nazioni in Europa
per il divario di ricchezza».
«La storia ci dice che nei periodi di grama
qualcuno riesce comunque a fare ottimi affari», interviene don Vinicio Albanesi. La povertà
andava combattuta, invece niente. «E
quel che c’era è stato piano piano smantellato.
Nel 1997», continua don Albanesi, «è stato istituito il Fondo per le politiche sociali. Incrementato
fino al 2004 (è passato da 380 milioni
a quasi due miliardi), dal 2008 ha subìto
una serie di tagli: nel 2009 sono stati, infatti,
stanziati 1.355 milioni, diventati 1.070 per
il 2010 e solo 960 nel 2011. Creato nel 2006, il
Fondo per la non autosufficienza è arrivato a
400 milioni nel 2009; nel 2010 è scomparso».
«Diciamo che per quanto riguarda i settori
del Welfare, l’ultimo Governo Berlusconi
non ha operato discriminazioni: ha tagliato
su ogni fronte», puntualizza don Zappolini.
«Il Fondo per le politiche a favore della famiglia,
ad esempio, è sceso da 220 a 51 milioni,
quello per le politiche giovanili è stato ridotto
da 130 a 13 milioni, quello per le pari opportunità
da 50 a 17 milioni. Il Fondo per
l’inclusione degli immigrati è stato semplicemente
svuotato».
Un gruppo di ragazzi ospiti della comunità d'accoglienza Il Doccio a Bientina, in provincia di Pisa. Foto di Paolo Siccardi/Sync.
«Sì», conferma don Ciotti, «il Governo di
Tremonti-Berlusconi-Sacconi ha azzerato tutto
o quasi, non contemplando nemmeno
una politica dei due tempi (prima la ripresa,
poi il rafforzamento del welfare), ma sacrificando
completamente il sociale a tutt’altre finalità
e restringendo il dibattito sul welfare
tra autoritari da una parte e caritatevoli
dall’altra, cosa che ha tagliato completamente
fuori la voce dei diritti». «A ciò si aggiunga
il contestuale aumento della burocrazia
», osserva don Antonio Mazzi: «Una quantità
sempre maggiore di energie deve essere
dedicata a un crescente numero di adempimenti
formali, caratterizzati da costi in crescita.
A volte utili, a volte molto meno».
«Tutto ciò rende più difficile aiutare la gente
», riprende don Ciotti. «I tagli ai Comuni
stanno mettendo in ginocchio alcune cooperative
di tipo B, costituite da soci “svantaggiati”,
che non ricevono più appalti dagli enti locali
costretti ad angoscianti risparmi. Una in
particolare, la Piero e Gianni, 25 soci-lavoratori,
si era specializzata in parchi gioco in legno
per attrezzare i giardini e il verde pubblico
delle città: ora è in ginocchio. Cruciali sono
anche i ritardi nei pagamenti alla realtà
del sociale da parte degli enti pubblici».
«Io posso raccontare la storia di Christian»,
dice don Mazzi, «un lombardo quasi ventenne
che potremmo far uscire dal carcere inserendolo
in una nostra comunità a Jesi, in provincia
di Ancona, ma l’autorità competente
chiamata a decidere entro il 20 maggio ci ha
già fatto sapere che è finito il budget per l’assistenza
fuori regione, dunque non se ne farà
niente fino al primo gennaio 2013. Bene,
benissimo, così Christian, in galera, imparerà
davvero a fare il delinquente».
Al Governo Monti, i quattro sacerdoti
chiedono di cambiare passo alla luce di una
serie di princìpi sviluppati nell’appello che
pubblichiamo nello speciale allegato a parte. «Attenzione: welfare
non è solo assistenza e sanità, ma anche famiglia
(fuori di casa, genitori anziani o figli
problematici finirebbero sulle spalle del
“pubblico”), lavoro e istruzione. Pure in questi
campi bisogna moltiplicare gli sforzi», ammonisce
don Ciotti.
«Già, l’educazione», conclude don Mazzi. «Le
risorse ridotte penalizzano in particolar modo
l’aspetto preventivo. Dimostra assenza di visione
prospettica chi non si preoccupa della formazione
dei genitori o di un sano divertimento
per i ragazzi, che non disdegna di far tappa
in oratori e centri giovanili. Un investimento
saggio in un’epoca come la nostra, che registra
il ritorno dell’eroina, il dilagare dell’alcol,
le dipendenze da videogame, Internet e giochi
d’azzardo».
Alberto Chiara