28/09/2012
Daniela Di Capua - direttrice del Servizio Centrale S.P.R.A.R. (Sistema Protezione Richiedenti Asilo Rifugiati).
Il 31 dicembre termina lo stato di emergenza proclamato dal Governo italiano in riferimento agli ingressi delle persone provenienti dalla Libia, i 27.000 migranti giunti nel nostro paese, in fuga dalla guerra, nel periodo marzo-settembre 2011.
Verrà decretata la fine dell'emergenza e conseguentemente dei finanziamenti messi a disposizione per garantire l'accoglienza di queste persone.
Hanno intrapreso tutti la procedura per la richiesta di protezione internazionale ma la maggior parte di essi non possiede le caratteristiche per vedersi riconosciuto lo status di rifugiato.
Si prefigura, dunque, una situazione paradossale per cui queste persone, dopo essere state indotte a chiedere asilo, oltre a non avere più una accoglienza, potrebbero, nel giro di poche settimane, andare ad ingrossare le fila dei cosiddetti “irregolari”.
Lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria vengono riconosciuti sulla base della situazione relativa al paese di origine. Queste persone erano in fuga si da una guerra ma che non era “la loro”.
Trattasi infatti di migranti dell'Africa sub sahariana, del Corno d'Africa, del Bangladesh, Pakistan, Marocco, ecc.
In Libia lavoravano, alcuni erano di passaggio, la maggior parte di loro non sarebbe partita per l'Italia se non fosse scoppiata la guerra.
Abbiamo cercato di capire come si è arrivati a questa situazione con Daniela Di Capua, direttrice del Servizio Centrale dello S.P.R.A.R. (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati).
- Cosa sono e a cosa serve lo S.P.R.A.R. ?
Lo SPRAR nasce con la legge 189/2002, la cosiddetta Bossi-Fini, contestualmente alla istituzione del Servizio centrale, il sistema che ne coordina tutti i progetti territoriali. In realtà l’esperienza di accoglienza decentrata e di rete fatta da Comuni e terzo settore coordinati dal Ministero dell’Interno, dall’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e dall’Alto commissario della Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR), nasce nel 2001 con un protocollo d’intesa per la realizzazione del “Programma nazionale asilo”.
Oggi lo S.P.R.A.R. è costituito dalla rete degli enti locali che , per la realizzazione di accoglienza integrata, accedono al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo. A livello territoriale gli enti locali e il terzo settore garantiscono interventi con un meccanismo che non si esaurisce nel fornire semplicemente vitto e alloggio ma prevede anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento grazie a percorsi individuali di inserimento sociale ed economico nei territori.
- Quante persone riuscite ad accogliere negli S.P.R.A.R e come funzionano ?
Oggi, con una rete di 3.000 posti, possiamo accogliere quasi 7.000 persone all’anno in tutte le regioni italiane ad eccezione della Valle d’Aosta secondo un criterio territoriale che privilegia luoghi “piccoli” e con un basso rapporto rispetto al numero di abitanti per facilitare la inclusione sociale, lavorativa e abitativa.
I progetti nascono a livello centrale ma poi i veri protagonisti dell’azione e dei progetti dello S.P.R.A.R. sono gli enti locali, in particolare i servizi sociali dei comuni e il terzo settore, cui spesso viene affidata la gestione dei progetti stessi.
- La Bossi-Fini ha istituito anche il Servizio centrale, di cosa si tratta ?
Il Servizio centrale è stato istituito dal Ministero dell’Interno Dipartimento per le libertà civili e immigrazione e affidato all’ANCI. Compito principale del Servizio centrale è quello di coordinare e supportare tutti i progetti S.P.R.A.R esistenti a livello nazionale.
- Quali sono le criticità dello S.P.R.A.R.?
I posti per l’accoglienza finanziati negli ultimi tre anni con specifici bandi (quello in corso avrà termine nel 2013) consentono di accogliere complessivamente circa settemila persone all'anno (la permanenza media di ogni persona accolta è infatti di circa sei mesi).
Sono numeri assolutamente insufficienti, nonostante negli ultimi anni siano evidenti sia un maggior turnover degli ospiti che un miglioramento della professionalità delle operatori.
Basta pensare che solo per l’emergenza nord-Africa, nel 2011 ci sono state oltre 36.000 richieste di asilo così come nel 2008 quando vi furono 32.000 richieste di asilo.
A parte queste annate “impegnative” e con numeri importanti in tutti gli altri anni, in cui le richieste di asilo variavano da 12000 a 20000, i numeri dei posti previsti dai progetti S.P.R.A.R non sono mai stati sufficienti per affrontare tutte le richieste che ci venivano sottoposte.
I richiedenti asilo che arrivano in Italia e che hanno bisogno di accoglienza vengono accolti in prima battuta nei C.A.R.A (centri accoglienza richiedenti asilo) per un periodo che non dovrebbe superare i 25 o 35 giorni (per l'espletazione della procedura, garantendo servizi di base).
In realtà questa accoglienza per varie ragioni avviene per tempi più lunghi, in luoghi in cui non esiste la possibilità di percorsi di inclusione sociale ne tantomeno percorsi finalizzati alla formazione e all’inserimento lavorativo.
Una volta ottenuta un permesso di soggiorno, i titolari di protezione internazionale o umanitaria vengono segnalati al Servizio centrale per entrare in un progetto SPRAR e proseguire il percorso ai fini dell’integrazione.
Tuttavia, con nostro rammarico, riusciamo a fornire, tramite gli S.P.R.A.R, una assistenza integrata mediamente al cinquanta per cento delle richieste che ci vengono sottoposte.
- In Italia cosa ha prodotto la politica dei respingimenti ?
Se l’obiettivo dei respingimenti, così come previsto dagli accordi con la Libia e la Tunisia, è quello di evitare l’immigrazione clandestina i dati di richiesta di asilo politico ci dicono esattamente il contrario.
Ovvero il novanta per cento delle richieste della persone che scappano da situazioni per cui il diritto internazionale prevede la protezione giuridica, come nei casi di guerre e persecuzioni, viene fatta da persone che arrivano via mare. L’immigrazione irregolare tout court avviene per molte altre vie alternative al mare.
- Nell’aprile 2011 scatta l’emergenza dei profughi libici, con quasi 30.000 persone che arrivano in Italia. Come è stata affrontata la situazione?
Le persone hanno per legge il diritto di chiedere asilo politico. Forse se si fosse riflettuto in anticipo, con una maggiore capacità di immaginare e di programmare un flusso così ampio di persone avremmo fatto scelte diverse. Si è invece optato per un approccio di carattere emergenziale affidato alla protezione civile per tutte le persone giunte in Italia dal nord Africa e i migranti sono stati di fatto stimolati a presentare la domanda di asilo.
In realtà, poiché nella maggioranza dei casi delle persone provenienti dalla Libia non ricorrono i presupposti giuridici per concedere lo status di rifugiato, oltre l’ottanta per cento delle domande vengono respinte.
Sarebbe stato forse più opportuno concedere, fin dall’inizio, il permesso umanitario che ha una validità di un anno con possibilità di rinnovo e offre anche l’opportunità di inserirsi stabilmente in contesti lavorativi. Anche da un punto di vista dell’accoglienza se gli enti locali fossero stati maggiormente coinvolti l’erogazione dei servizi sarebbe stata migliore e tutte le persone avrebbero avuto la possibilità di avere un percorso di accompagnamento personalizzato.
La scadenza del 31 dicembre impone di pensare rapidamente una soluzione affinché tutti i migranti provenienti dalla Libia trovino una protezione giuridica e che venga pensato di aumentare la dote economica, attualmente di circa duecento euro, per favorire il rimpatrio di alcuni migranti che vogliono tornare nel proprio paese.
In questo senso, il Ministero dell’Interno sta lavorando insieme alle Regioni, i Comuni e le Province a una proposta operativa che semplifichi o quantomeno renda meno onerosa e complessa, sia per i territori che per i migranti, la imminente chiusura formale del periodo di emergenza.
- Quali sono le scelte da fare per migliorare, in futuro, la nostra politica di accoglienza ?
La risposta non può essere semplicemente ed esclusivamente quella di aumentare i posti dello S.P.R.A.R.
Occorre una seria capacità di lettura dei fenomeni migratori interpretando i contesti politici degli Stati ed elaborando una visione programmatica delle politiche per l’asilo che, dal livello centrale, trovino condivisione e attuazione a livello locale.
Nella maggior parte dei casi, penso alla recente situazione della Libia, il flusso migratorio che era assolutamente prevedibile ci ha fatto trovare totalmente impreparati. Una situazione che poteva essere programmata e affrontata è diventata una emergenza umanitaria.
Occorre poi un sistema omogeneo di accoglienza che eviti duplicazione di centri che hanno spesso anche meccanismi di funzionamento e di finanziamento differenti.
Andrea Ferrari