29/04/2011
La tenda montata dal Gruppo Abele in piazza Solferino, a Torino, nel giugno 1975, per protestare contro le norme allora vigenti che mandavano i tossicodipendenti in carcere o in manicomio (foto: archivio Gruppo Abele).
Sono passati quasi 36 anni da quando – era il 28 giugno 1975 – don Luigi Ciotti con suoi volontari del Gruppo Abele piantò una tenda nel centro di Torino, in piazza Solferino e, con uno sciopero della fame, protestò contro un legge sulla droga che puniva i tossicodipendenti con il carcere o il manicomio. Anche grazie a quell'azione si arrivò alla legge 685 del 22 dicembre 1975 che considerava la tossicodipendenza un problema sociale e sanitario, non più solo di ordine pubblico.
Da allora molte cose sono cambiate, e non tutte in meglio. La dipendenza, oggi, si declina al plurale: non solo più droghe (il cui commercio comunque rimane saldamente in mano alle mafie), ma anche gioco, realtà virtuali capaci di schiavizzare, alcol (consumato a età sempre più precoci), cibo (in eccesso o in difetto). Il Gruppo Abele ha fatto un bilancio sui risultati conseguiti e sulle questioni irrisolte in un convegno a Torino, “Dipendenze & Consumi”, con esperti e operatori del settore.
Famigliacristiana.it ne ha parlato con uno dei più stretti collaboratori di don Luigi Ciotti, lo psicologo Leopoldo Grosso.
Qual è l'emergenza più stringente in questo momento?
«La situazione nelle carceri. Abbiamo 67 mila detenuti su una capienza di 45 mila e di questi, 24 mila sono tossicodipendenti, molto spesso abbandonati a loro stessi. La spesa annuale per detenuto è stata ridotta da 13 mila euro l'anno a 6 mila, senza contare i tagli agli operatori specializzati. Accedere ai benefici di legge, come il lavoro all'esterno, diventa sempre più difficile dopo che questa possibilità è stata esclusa per i recidivi, quando sappiamo tutti che un tossicodipendente, se non viene aiutato a reinserirsi nella società, rischia di ricascarci. In questo senso, dalla legge Fini-Giovanardi in poi del 2006, siamo tornati indietro, a una concezione che vede il drogato prima di tutto come un potenziale criminale».
Ci sono invece dati positivi?
«Trent'anni fa un tossicodipendente raramente superava i 40 anni. Oggi
non è più così, grazie soprattutto alle politiche di "riduzione del
danno” per le persone che non riescono a smettere. In pratica, non si
richiede l'astinenza totale come requisito per prendersi cura del
tossicodipendente. Si cerca di evitare lo scambio di siringhe, gli si dà
un pasto caldo, si cerca il più possibile di evitare che si trasformi
in un emarginato. In questo modo c'è stata una forte riduzione dei
decessi per overdose. Purtroppo, queste politiche di “riduzione del
danno” fanno fatica ad affermarsi ovunque a causa delle resistenze di
cui parlavo prima».
In questi anni è cambiata anche la considerazione sociale del
tossicodipendente, in particolare fra i giovani: negli anni '80
l'eroinomane era percepito come un perdente, uno da cui stare alla
larga. Oggi invece il giovane che in discoteca sniffa cocaina o ingoia
pasticche di ecstasy si sente un “figo”, non pensa nemmeno di essere un
drogato. Come mai?
«È un cambiamento legato al modo in cui la droga viene consumata.
L'eroina è una droga da “estraniamento”, da gente che si rinchiude in un
suo mondo, usa strumenti come siringhe e lacci e rischia di morire da
un momento all'altro. Un'immagine, appunto, da perdenti. Sniffare o
succhiare una pasticca, invece, dà l'impressione di non correre rischi.
La cocaina e l'ecstasy, inoltre, sono droghe “da prestazione”, legate a
una cultura dello stare insieme, del divertimento: si prendono per “dare
il massimo” quando ci si trova in compagnia di altri. Ma anche se non
creano una dipendenza paragonabile all'eroina, i rischi sono comunque
elevatissimi: da quelli fisici, come l'ictus e l'infarto, a quelli
psichici legati ad alterazioni del comportamento che possono portare a
improvvise esplosioni di violenza o a deficit dell'attenzione
responsabili di tanti incidenti stradali. In questi casi si cerca di
intervenire con operatori che girano nei locali per responsabilizzare i
giovani. Ma anche questi servizi sono poco diffusi o addirittura
drasticamente tagliati come di recente ha fatto la Regione Piemonte».
Lo psicologo Leopoldo Grosso.
Gli spot antidroga che passano in Tv sono utili?
«Tutti gli studi avanzano fortissimi dubbi sulla loro efficacia. In
particolare sull'ultimo, in cui si mostra un ragazzo che dopo aver preso
una pasticca vede la sua ragazza in sogno trasformarsi in un vampiro,
ho molte perplessità, perché i vampiri oggi, con la saga di “Twilight”,
esercitano molto fascino fra i giovani».
A proposito di giovani, ha destato scalpore in questi ultimi giorni la
storia di quel gruppo che, dopo aver partecipato a un rave party in
Toscana, ha ridotto in fin di vita due carabinieri che li avevano
fermati in auto. A parte il guidatore, gli altri erano tutti minorenni
incensurati. I genitori, come spesso capita in questi casi, dicono di
cadere dalle nuvole, che avevano sempre pensato che i loro figli fossero
ragazzi a posto. Com'è possibile mantenere questa doppia vita?
«Queste nuove droghe possono avere effetti potentissimi nell'immediato,
che però si dissolvono nel giro di poche ore, consentendo di apparire
perfettamente “normali” il giorno dopo. I genitori dovrebbero riprendere
a fare il loro mestiere, dialogando con i loro figli, mettendoli in
guardia dai rischi che corrono, ma anche controllandoli, cosa che invece
non fanno più. Quando vanno fuori la sera, dovrebbero almeno qualche
volta aspettarli per vedere in che condizioni tornano».
Eugenio Arcidiacono