03/05/2011
Le cifre raccontano un problema tutt’altro che risolto. Stando agli ultimi dati disponibili, infatti, in Italia sono ancora 3,5 milioni le persone che, in vario modo, sono coinvolte nel consumo di sostanze stupefacenti. I tossicodipendenti con bisogno di trattamento specifico sono invece 393.490. La droga oggi è declinata al plurale: eroina, cocaina, ma anche ketamina (un anestetico dissociativo che viene iniettato per via intramuscolare o sniffato, che si trova liquido o in cristalli), alcol, tanto alcol e a un età sempre più precoce.
La droga è prima di tutto una privazione della propria libertà. Una schiavitù alimentata dalla società dei consumi che ogni giorno ci induce nuovi bisogni da soddisfare. E in chi non ci riesce, scatta la frustrazione, il senso di inadeguatezza. Attorno a queste riflessioni si è sviluppato l’intervento del
filosofo Salvatore Natoli nel convegno “Dipendenze e consumi” promosso dal Gruppo Abele a Torino.
Il filosofo Salvatore Natoli.
- Professor Natoli, storicamente l’accesso ai consumi non è sempre stato un
fattore di libertà, di promozione sociale da una vita di privazioni?
«In passato era così, ma oggi la situazione è mutata perché i bisogni
sempre più non sono reali, ma vengono imposti dai messaggi che ci
arrivano dai mass media. Sono bisogni artificiali, come quello di
possedere l’ultima generazione di cellulare, anche se quello che
possiedo soddisfa benissimo tutte le mie esigenze».
- La droga come si inserisce in questo processo?
«Questa logica consumistica mira a conquistare il massimo del piacere e
dell’efficienza, che è quanto promettono anche le sostanze stupefacenti
più in voga, dalla cocaina alle pasticche di ecstasy: non a caso,
vengono definite droghe “da prestazione”».
- Lei parla della condizione tipica del mondo occidentale, quella del
“medio enessere”, in cui in apparenza non manca nulla: c’è il lavoro,
la casa, la famiglia. Eppure spesso la vita appare vuota: l’amore
coniugale diventa abitudine, i figli sono un obbligo, il lavoro è una
frustrante routine. La droga diventa una via di fuga?
«Sì, per rompere questa routine, si cerca l’eccitazione, l’andare oltre
un mondo reale percepito come noioso e ripetitivo. Ma è una fuga che non
porta a nulla, se non alla disperazione».
- Come se ne esce?
«Da un lato riscoprendo la curiosità verso il mondo: l’esperienza
della droga è sempre solitaria, anche quando la si consuma insieme.
Occorre invece sviluppare l’attenzione verso gli altri, rendersi conto
che gli altri mi interessano e che possono arricchirmi. Dall’altro lato,
però, è necessario portare alla luce le proprie potenzialità, le
risorse che rendono ciascuno di noi un essere unico e che spesso vengono
soffocate da questi finti bisogni indotti dalla società dei consumi che
tende a omologarci tutti. Solo così si potrà recuperare la propria
libertà».
Eugenio Arcidiacono