02/01/2012
In Italia esiste un settore che non conosce crisi. Anzi, proprio grazie alla crisi riesce a prosperare. Parliamo del gioco, un business milionario con incassi da capogiro, paragonabili a quelli di colossi industriali come Enel e Telecom. C'è chi ha tutto da guadagnarci e chi invece finisce sul lastrico. Tanti restano intrappolati nella rete: non più giocatori, ma malati. Dipendenti dal gioco, come da una droga. Satistiche alla mano, le categorie più esposte sono quelle più deboli.
Negli ultimi anni questo settore è cresciuto in maniera vorticosa, come dimostrano i dati Istat: nel 2000 ha incassato 14,3 miliardi di euro, nel 2005 la cifra è passata a 28,5 miliardi, che sono diventati 47,5 nel 2008 e ben 61,4 nel 2010. Secondo i dati diffusi dall’Aams (Amministrazione autonoma dei Monopoli
di Stato), il volume di affari delle scommesse e dei giochi legali in
Italia ha raggiunto i massimi livelli proprio nell'anno appena concluso: 76 milioni. In termini assoluti, gli incassi
del 2011 sono cresciuti rispetto al 2010 di 15 miliardi, con un incremento
percentuale del 24,3 per cento.
I dati sono in ogni caso impressionanti specialmente se si tiene conto della generale contrazione dei consumi familiari. Secondo l'Istat, nel 2010, al Nord e al Centro il 63,5% delle famiglie ha comprato meno cibo e bevande, il 13,6% ha anche diminuito la qualità dei prodotti acquistati. Insomma, si tira la cinghia su tutto, compresi i beni di prima necessità, ma per gratta e vinci, scommesse e slot machine non si bada a spese.
Foto: Thinkstock
In questo quadro la crisi economica ha un ruolo rilevante: in tempi duri, il 'colpaccio' milionario diventa un sogno ricorrente, a volte un'ossessione.
E tanti sono disposti a indebitarsi, inseguendo una chance per vivere
"spensierati e sistemati", come dice il motto dell'ultima frontiera
dell'azzardo sul web. Non è un caso se a spendere più soldi per il gioco
sono proprio le persone che hanno un reddito basso. Secondo i dati
Eurispes tentano la fortuna il 47% degli indigenti, il 56% degli
appartenenti al ceto medio e il 66% dei disoccupati.
La composizione sociale del fenomeno sta cambiando. Ogni anno aumenta
il numero di donne che si avvicinano al gioco d'azzardo e la passione
che questa attività riscuote tra giovanissimi e anziani sta assumendo
contorni preoccupanti: secondo l'Associazione Contribuenti Italiani,
nell'ultimo anno il coinvolgimento di minorenni e pensionati è aumentato
del 7,7%. Giocare non è mai stato facile come oggi. Un'inchiesta
condotta dalla Camera di Commercio milanese rivela che nel capoluogo
lombardo il 2011 ha visto crescere del 21,6% le imprese specializzate
nel settore, che sono passate da 245 a 298. Bar, tabaccherie, sale
giochi, centri scommesse: ecco le mille case della dea bendata.
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E ormai, nel gradimento collettivo, le proposte più vecchie come il
lotto e il bingo sono state soppiantate dagli apparecchi tipo slot
machine, che attirano il 55,6% dei giocatori. Poi ci sono le offerte
della rete, dove per puntare basta un clic (molto gettonato, negli
ultimi tempi, è il poker on-line): in teoria per accedervi bisogna
essere maggiorenni, ma un reale controllo è praticamente impossibile.
Nonostante la situazione sia già critica, i monopoli di Stato continuano
a offrire giochi sempre nuovi e sempre più sofisticati. Ecco un
esempio: nel 2009, dopo la tragedia del terremoto in Abruzzo, il Governo
ha deciso di finanziare gli interventi di ricostruzione all'Aquila
mettendo sul mercato nuove slot machine e nuovi meccanismi di gioco,
come il Win for Life. Proposte accattivanti, apparentemente sicure
proprio perché legali, ma in realtà non sempre innocue.
Paradossalmente lo Stato ha cercato di far fronte a un'emergenza sociale
con un'azione che può avere ricadute pesanti, proprio sul piano
sociale. Infatti,aumentando a dismisura il numero dei giocatori,
aumenta anche il numero di quelli che perdono il controllo. Ci sono
persone per cui il gioco smette di essere un divertimento e diventa una
malattia con conseguenze devastanti, paragonabili a quelle delle
dipendenze da sostanze stupefacenti. Recentemente il Censis ha
lanciato l'allarme: secondo le statistiche il 7% dei giocatori italiani è
da definirsi a rischio, mentre i patologici sono il 2%, ma la
percentuale sale fino al 12% tra i più giovani. A prima vista
possono parere numeri contenuti. In realtà è sufficiente rapportarli
alle singole regioni per capire quanto il fenomeno sia esteso. In Emilia
Romagna, ad esempio, si stima che i giocatori problematici siano
176mila, mentre più di 50mila sarebbero i patologici.
Esiste un mondo semisommerso, fatto di storie drammaticamente simili.
Si comincia con l'euforia per qualche vincita, magari piccola, ma
ritenuta comunque importante. E nell'immaginazione il gioco diventa
la soluzione dei problemi, una scorciatoia per la fortuna. Ben presto
però il quadro cambia: i soldi cominciano ad andarsene. Tanti e in
fretta. Allora bisogna inseguirli, giocare di più, alzare la posta,
nella speranza di riconquistare almeno il denaro perduto. Si crea così
quel buco nero in breve tempo finisce per mangiarsi tutto: i risparmi di
una vita, il lavoro, a volte perfino la casa, ma anche le amicizie e
gli affetti familiari. Nonostante la vastità del fenomeno, nel nostro
Paese la dipendenza da gioco è ancora un argomento tabù.
Di solito viene sottovalutata e per definirla si usano termini impropri, come eccesso o vizio. In realtà il g.a.p (gioco d'azzardo
patologico), riconosciuto anche dall'Organizzazione Mondiale della
Sanità, è una malattia a tutti gli effetti e come tale va trattata. A
differenza di quanto avviene in altri Stati, dalla Francia alla Spagna,
dalla Germania agli Usa, in Italia questo disturbo non è inserito nei
Lea (Livelli essenziali di assistenza): ciò significa che i giocatori
patologici non hanno diritto a cure e trattamenti gratuiti.
Lorenzo Montanaro