«È stato bello vedere crescere
l’impegno civico dei bambini e ragazzi cinesi delle nostre Scuole
della pace a Milano in questi anni. Contrariamente a quello che si
pensa i cinesi qui da noi sono integrati». Elisa Giunipero, 38 anni,
ricercatrice di storia contemporanea e docente di Storia della Cina
contemporanea all’Università Cattolica di Milano, ci tiene a
smentire la favola della comunità cinese come un ghetto separato
dalla vita della città.
Un po’ di merito è certamente anche della
Comunità di Sant’Egidio e dell’intenso lavoro fatto in questi
oltre 20 anni di presenza della comunità fondata da Andrea Riccardi
nel capoluogo lombardo.
«Si tratta di un’iniziativa offerta
gratuitamente per educare i bambini e i ragazzi alla pace e alla
solidarietà oltre ad insegnare loro la lingua e la cultura italiane,
cerchiamo di trasmettere ai più piccoli anche una concreta
educazione alla pace anche con attività di volontariato, come ad
esempio la visita agli anziani», precisa la docente universitaria.
Organizzata nel pomeriggio come doposcuola,
i volontari di
Sant’Egidio fanno interagire i bambini – di varie nazionalità
oltre a quella cinese – con giochi, canti e lezioni interattive per far sì che il tempo trascorra in maniera divertente oltre che utile e costruttiva.
«Altre iniziative legate alla
scuola della pace sono il “Rigiocattolo”, la vendita di
giocattoli usati per finanziare il nostro progetto Dream in
Africa per la lotta contro l’Aids, e la settimana di vacanza estiva
aperta ai ragazzi della Scuola», precisa ancora Elisa Giunipero.
Oltre che nel quartiere cinese, la Scuola della pace è stata attivata anche a
Corvetto, un quartiere popolare della metropoli lombarda:
«Lì i veri protagonisti sono i bambini rom, quelli dei famosi
sgomberi di via Rubattino. Ma ci sono anche bambini marocchini e
italiani», dice la Giunipero. «L’idea è la stessa: promuovere
un’educazione alla convivenza e alla pace senza annullare le
differenze ma anche senza esasperarle». La terza Scuola è, per così
dire, itinerante: «È nata in seguito agli sgomberi degli ultimi
anni nei campi rom e si cerca di seguire personalmente una galassia
di bambini che sono in strada e che assistiamo, per così dire,
privatamente».
Tornando alla comunità cinese a
Milano, Sant’Egidio ha incominciato a lavorare con lei nel 1992, 20
anni fa esatti. I cinesi, comunità a sé stante? «Negli anni
abbiamo visto tante trasformazioni nella comunità cinese, che è
molto variegata al suo interno. Questa esperienza di conoscenza
diretta, incontro, amicizia e convivialità con le famiglie ci ha
permesso di entrare in sintonia con questa realtà, percepita dagli
italiani come omogenea e impenetrabile: invece è una realtà molto
varia e differenziata», risponde la docente.
Che poi precisa: «La
realtà cinese è molto stratificata. Da un lato esistono grandi
differenze socio-economiche tra le varie famiglie: ci sono cinesi
ricchi e cinesi poveri, e la differenza tende ad aumentare. Esiste
poi una stratificazione nel tempo a seconda della data di arrivo in
Italia: ormai parliamo di terze e quarte generazioni cinesi (il primo
cinese registrato all’anagrafe di Milano è del 1910) e quindi la
mentalità varia molto tra chi è qui da più tempo e chi è appena
arrivato. Infine esistono differenziazioni a seconda della
provenienza: da Nord a Sud la lingua e la cultura variano molto. Se
uno parla solo il dialetto locale, non si capisce con gli altri
connazionali provenienti dalle altre regioni e fa più fatica quindi
ad integrarsi».
Sta crescendo, infine, il problema
dell’identità nazionale dei cinesi nati a Milano e in bilico tra il sentirsi italiani e il sentirsi cinesi. «Molti dei bambini che
seguiamo sono nati a Milano e sono milanesi, si vivono tali.
Ciascuno di loro vive comunque un problema di identità nazionale,
visto che molti minori cinesi fanno la spola tra Italia e Cina anche
per anni interi a causa degli studi. Questo, e forse anche la
mancanza di una legge sul diritto di cittadinanza più generosa, non
li aiuta ad assumere una loro identità specifica», conclude la
donna.
Stefano Stimamiglio