Sud Sudan, ripartire da zero

Dopo mezzo secolo di guerre e una fresca indipendenza, il Sud Sudan cerca di ripartire in una serie infinita di emergenze. La questione petrolifera e i contrasti con il Sudan del Nord.

E dopo mezzo secolo di guerre...

10/04/2012
Il centro per la cura della malnutrizione infantile di Gogrial (Sud Sudan).
Il centro per la cura della malnutrizione infantile di Gogrial (Sud Sudan).

La Repubblica del Sud Sudan è la più giovane nazione africana. È nata ufficialmente il 9 luglio 2011, quando è stata proclamata a Juba, la capitale, l’indipendenza dal Sudan. È il 54° Stato dell’Africa e il 193° delle Nazioni Unite. La secessione dal regime di Khartoum è stata conquistata col sangue: quasi mezzo secolo di guerre, delle quali l’ultima è durata ben 22 anni: dal 1983 al 2005. Il trattato di pace che ha chiuso il conflitto aveva anche fissato le tappe successive: un periodo di transizione di cinque anni, nei quali il Sud avrebbe goduto di ampia autonomia e il referendum per l’autodeterminazione, svoltosi il 9 gennaio 2011, nel quale il 98,83% dei votanti si è espresso a favore della secessione. Da qui la proclamazione dell’indipendenza del 9 luglio scorso.

Dopo mezzo secolo di guerre…

... il neonato Paese africano ha la libertà, ma poco altro. È ancora alle prese con le ferite profonde causate da decenni di guerra civile che hanno opposto il Nord arabo e musulmano e le regioni meridionali, abitate da etnie di ceppo africano e in prevalenza cristiane e animiste, non solo per ragioni religiose ed etniche, ma anche per l’iniqua distribuzione delle ricchezze nazionali e degli investimenti da parte dei governi di Khartoum. Il conflitto, aggravato da prolungate carestie, ha causato due milioni di morti e quattro di rifugiati e sfollati. Ma anche la distruzione quasi totale delle infrastrutture: scuole, strade, ponti, ospedali.  

Uno dei sistemi sanitari peggiori del mondo

Le conseguenze della guerra ancora oggi sono molto evidenti, specie negli indicatori sanitari, tra i peggiori del mondo: il 48% dei bambini sotto i cinque anni è malnutrito, solo uno su quattro è vaccinato contro il morbillo, soltanto il 5 per cento dei parti è seguito da staff specialistico. Il Paese, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità necessita di almeno un migliaio infermieri e paramedici. Quanto ai medici locali, oggi ce n’è una quarantina in tutto il Paese, dei quali la metà lavora in cliniche private. Ma anche guardando agli altri indicatori, i problemi sono tanti e gravi: il 70 per cento dei circa 8 milioni di sud sudanesi è analfabeta; non ci sono più di 50 chilometri di strade asfaltate in tutto il territorio dello Stato, e le infrastrutture mancano quasi del tutto (per fare un esempio, la metà degli alunni della scuola primaria fa lezione sotto gli alberi, per la mancanza di scuole).  

Un’emergenza dopo l’altra

Oltre alle enormi carenze dello stato sociale, in questi primi mesi di vita il Sud Sudan ha dovuto affrontare diverse crisi umanitarie. La prima, quella legata al rientro in massa di 350 mila sud sudanesi che durante la guerra erano emigrati nelle regioni del Nord e che sono rientrate in patria con l’indipendenza. Inoltre, sono scoppiati scontri etnici in diverse aree del Paese, la più grave delle quali ha provocato migliaia di morti nella regione del Jonglei, con decine di migliaia di sfollati. Altre emergenze umanitarie sono state provocate nel Sud-ovest, lungo il confine col Centrafrica a causa delle incursioni del gruppo ribelle del Lra (Esercito di resistenza del Signore); e ancora lungo il confine Nord, per via degli scontri (ancora in atto) fra l’esercito di Khartoum e i gruppi armati del Sud Kordofan e del Blue Nile, due regioni le cui popolazioni non hanno potuto votare per l’autodeterminazione, pur avendo combattuto con l’Spla (l’Esercito di liberazione del Sud Sudan) la guerra per l’indipendenza, e volendo in larga maggioranza far parte del nuovo Stato meridionale. Il conflitto in atto ha spinto alla fuga oltre centomila profughi oltre confine.  

La questione petrolifera 

L’85% delle riserve di greggio, con la scissione in due del grande Sudan, è rimasto nei territori del Sud. Il neonato Paese è in grado di estrarre oltre 400 mila barili di petrolio al giorno. Ma l’unico oleodotto realizzato prima del referendum e dell’indipendenza, attraversa il Nord per arrivare al mare a Port Sudan. Il contenzioso sul “diritto di passaggio”, per il quale Khartoum esige un prezzo salatissimo, ha portato il Governo del Sud a interrompere, nel gennaio scorso le estrazioni. Una situazione delicatissima, dato che le esportazioni di greggio costituiscono il 98% delle entrate dello Stato. C’è il progetto di realizzare due altri oleodotti, uno attraverso Etiopia e Gibuti e l’altro attraverso il Kenya, ma occorreranno due o tre anni per realizzarli.  

Rapporti tesi fra i due Sudan

Il petrolio non è l’unico problema fra i due Paesi, ma è la madre di tutti i problemi. Anche la demarcazione precisa del confine e la libertà di movimento delle popolazioni sono questioni irrisolte legate al nodo-petrolio. Come pure la definizione della regione di Abyei, proprio al centro fra i due Paesi: la grande maggioranza della popolazione vuole poter votare l’autodeterminazione, per passare col Sud Sudan, ma il Nord finora non ha consentito il voto (pure previsto dagli accordi di pace), anche perché perderebbe un’altra significativa quota petrolifera, dato che l’area è ricca di giacimenti. Ora si profila un altro grave problema, che potrebbe tradursi in un’ennesima emergenza umanitaria: Khartoum ha posto la data limite del 9 aprile per il rientro in patria di tutti i sud sudanesi che vivono ancora al Nord. Sarebbe, secondo le stime, un numero variabile fra 500 e 700 mila persone. L’ultimatum non potrà essere rispettato e si sta trattando per concedere più tempo per il ritorno in patria.

Luciano Scalettari
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