Uno Slalom tra le fragilità dei genitori

Cbm ha avviato da un anno un progetto rivolto a famiglie fragili che si avvicinano alla nascita di un figlio. Un approccio integrato le aiuta a trovare i corretti equilibri relazionali

Agire insieme per un quadro unitario

13/12/2012

La nascita di un figlio, la complicata elaborazione dell'emozione che questa inevitabilmente comporta, la destabilizzazione più o meno temporanea degli equilibri relazionali: il progetto Slalom è la strada intrapresa da Cbm, Centro per il bambino maltrattato e la cura della crisifamiliare di Milano, per evitare i rischi di abusi e violenze potenziando le competenze genitoriali pre e post partum. Le neo mamme e i neo papà con fragilità connesse alla presenza di disturbi mentali e/o dipendenze da sostanze sono più facilmente "vittime" impreparate dell'urto che la nascita provoca, così che il bambino diventa, ovviamente senza averne colpa alcuna, un fattore scatenante di crisi. A un anno dalla nascita del progetto abbiamo intervistato Alberto Penna, lo psicologo responsabile di Slalom.


Partiamo dal nome... perché Slalom?
«Quando abbiamo cominciato a mettere insieme le idee del progetto avevamo in mente tutto quel mare di difficoltà da cui rischiano di essere travolte le mamme. Insieme, volevamo iniziare un percorso per schivare i paletti che la vita pone di fronte a ciascuno, prima o poi. In particolare, l'obiettivo fondamentale era un intervento rivolto alle mamme "fragili" nel momento delicato della nascita di un figlio, soprattutto un primo figlio».

Chi sono per voi le mamme "fragili"?
«Tutte quelle donne che provengono da percorsi più o meno gravi di dipendenze varie, dall'alcol alla droga, o che hanno avuto problemi legati alle malattie mentali. Le due "tipologie" su cui abbiamo concentrato i nostri sforzi hanno già una collocazione di cura perché sono già in carico, rispettivamente, ai servizi dipendenze o ai cps. Noi abbiamo deciso di occuparcene in modo trasversale, insistendo sulle problematiche che riguardano la genitorialità, la prevenzione rispetto alla depressione post partum e l'ipotetico caso futuro di maltrattamenti».

Quale approccio avete individuato?
«Siamo partiti mettendo insieme tutti quegli enti che, a diverso titolo, normalmente si prendono cura soltanto di alcuni "pezzi" di queste situazioni: in questo caso, il cps dell'ospedale San Paolo di Milano, il servizio tossicodipendenze di Conca del Naviglio, la clinica Mangiagalli dove tante mamme partoriscono e SpazioPensiero, un cooperativa sociale che non si occupa specificatamente di patologia ma ha un punto di vista privilegiato sulle realtà che interessano a Cbm in virtù degli incontri e dei gruppi di parola e gioco per bambini e adulti che loro periodicamente organizzano. Infine abbiamo ricevuto un cofinanziamento alla realizzazione del progetto da parte della Fondazione Cariplo».     

Ci spiega come funziona tecnicamente la presa in carico dei casi? Come li individuate e quali "step" si susseguono?
«Dopo approfondite ricerche per stabilire dei protocolli quanto più condivisi e uniformi possibili, si è stabilito che le segnalazioni arrivassero direttamente da uno degli enti coinvolti: a ogni equipe di progetto spetta poi il delicato compito della valutazione sull'opportunità o meno della presa in carico». 

Alberto Picci
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