11/08/2011
Suor Adriana Biollo (foto di Valentina Bosio).
«Stiamo ottenendo risultati davvero importanti con tutti i bambini. Quest'anno, ad esempio, siamo riusciti a farne entrare sei nelle scuole normali perché hanno imparato a scrivere, a leggere e a usare il computer. Ma anche se riuscissimo ad aiutarne uno soltanto, il nostro lavoro sarebbe già remunerato. Con una gioia immensa». Diventa ancora più dolce il viso di suor Adriana Biollo, missionaria comboniana, 71 anni, mentre parla dei suoi piccoli, i 32 bimbi che frequentano la scuola per portatori di handicap del Centro Regina Pacis di Amman, in Giordania. I piccoli, tutti tra i 6 e i 14 anni, sono affetti, in particolare, dalla sindrome di Down e dall'autismo. «È un peccato che adesso non siano qui perché ci sono le vacanze. Ogni volta che arrivano mi abbracciano e si stringono attorno a me. Ci dimostrano il loro affetto in un modo a dir poco avvolgente e sentono che vogliamo loro bene».
Suor Adriana ad Amman tra i ragazzi del gruppo di preghiera (foto di Valentina Bosio).
Da tre anni suor Adriana, originaria di Venezia, gestisce il grande complesso assieme a due consorelle egiziane. Inaugurato nel 2004, l’Istituto di Nostra Signora della Pace si trova pochi km a sud della capitale giordana. «I bambini arrivano la mattina e ritornano a casa nel pomeriggio, accompagnati dai nostri autisti. Ma, oltre alla scuola, gestiamo un reparto di fisioterapia aperto anche agli adulti: ci lavorano 5 terapeuti, che riescono a coprire 8 ore di attività al giorno. Adesso stanno seguendo un centinaio di casi. E da giugno a novembre, tutti i fine settimana, arrivano gruppi di giovani che dormono qui con noi e fanno attività di animazione e preghiera». E infatti, suor Adriana non fa in tempo a nominarli che i ragazzi spuntano dal bosco, dove sono stati per celebrare la Messa, e iniziano a rientrare, tra canti e schiamazzi. «Si stanno preparando per partecipare alla prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid», spiega padre Simone, 31 anni, ordinato sacerdote da circa due mesi: «La scelta di diventare prete, per me, è anche una tradizione: nella tribù di Kerak da cui provengo sono il diciottesimo».
La dottoressa Nuha Al Nahhas (sulla carrozzina) segue un incontro con una famiglia (foto di Valentina Bosio).
«Il Centro si mantiene grazie alle donazioni e alla Diocesi, il Patriarcato Latino di Gerusalemme, che qui è rappresentato dal suo vicario, Monsignor Selim Sayegh. Noi non prendiamo rette: è tutto gratis», prosegue suor Adriana. «Il rapporto con le altre religioni? Qui siamo tutti uguali. I ragazzi dei fine settimana sono tutti cattolici, perché le attività sono di carattere religioso, invece per la scuola e la fisioterapia non si fa nessuna distinzione tra cattolici e musulmani. Inoltre, se non fosse anche per le donazioni di molti musulmani, avremmo sicuramente più difficoltà economiche. La struttura è molto grande e i costi sono elevati». Un po' di nostalgia dell'Italia? «Non troppa. Prima della Giordania sono stata più di 20 anni in Sudan, poi in Eritrea, Palestina e in Bahrein. L'ultima volta che sono stata in Italia mi sono presa il raffreddore», scherza suor Adriana.
Fabio Lepore