Congo: «I bimbi sono salvi, ma…»

Chance, Moise, Oliva, Fazina, Alice e Janvier erano denutriti. Si stanno riprendendo grazie ai volontari del Vis. Goma è tranquilla, anche se la situazione nel Paese è tesissima.

22/07/2012
Repubblica democratica del Congo, bimbi in un campo profughi. Foto di Giulia Cavalletto. La fotografia di copertina, invece, è dell'agenzia Reuters.
Repubblica democratica del Congo, bimbi in un campo profughi. Foto di Giulia Cavalletto. La fotografia di copertina, invece, è dell'agenzia Reuters.

Goma, Congo, luglio 2012

La situazione nel Nord del Kivu, tribolata provincia della Repubblica democratica del Congo, rimane molto tesa. Non si arrestano i combattimenti e gli scontri all’interno del Paese. La città di Goma resta tranquilla anche se continuano ad arrivare profughi da tutti i villaggi vicini. La popolazione civile paga come sempre il prezzo più alto dei conflitti, bambini e donne si trovano ogni giorno ad essere vittime di una violenza atroce e gratuita. Regna una gran confusione, i gruppi armati sono diversi e si scontrano tra loro creando enormi problemi alla popolazione civile.

Giulia Cavalletto. Foto di Alessandra Tarquini/Vis.
Giulia Cavalletto. Foto di Alessandra Tarquini/Vis.

Il Centro don Bosco Ngangi prosegue il suo lavoro cercando per quanto possibile di continuare le sue attività nella normalità, ma nel contempo di rispondere anche ai diversi bisogni e urgenze che si presentano, in sostegno di un popolo che ancora una volta viene messo alla prova duramente. Chance, Moise, Oliva, Fazina, Alice e Janvier stanno meglio I bambini con malnutrizione grave che avevamo accolto dal campo profughi di Mugunga stanno pian piano riprendendosi. Il loro stato di salute è migliorato moltissimo e ora hanno recuperato le forze per giocare e correre per tutta la Maison Ushindi. Baba è già stata riunificato alla sua famiglia al campo di Mugunga: reclamava la mamma ed essendo già grande sarebbe stato ingiusto tenerlo ancora qui. Anche gli altri sarebbero pronti ad essere reinseriti dalle loro famiglie ma la situazione nel campo profughi dove alloggiano le loro famiglie, è terribile. Temiamo che un reinserimento potrebbe farli regredire e rimettere a repentaglio la loro vita.

Bambini al Centro don Bosco di Goma in una foto d'archivio dell'agenzia Reuters.
Bambini al Centro don Bosco di Goma in una foto d'archivio dell'agenzia Reuters.

La situazione di scontri all’interno del Paese provoca conseguenze che coinvolgono anche Goma e aggrava la situazione della città. I bambini accolti all'orfanotrofio sono passati in pochi giorni da 54 a 72. Inoltre avevamo 65 bambini malnutriti che seguiavano il programma di recupero al centro: in pochi giorni sono diventati 125, e vista la situazione della regione, pensiamo che il loro numero aumenterà. La violenza tra le Fardc (Forze armate della Repubblica democratica del Congo) e gli altri gruppi armati hanno come conseguenza la fuga di migliaia di persone nei territori di Masisi, Rutshuru, Walikale e Lubero. Solo ad aprile erano 300.000 i profughi registrati, gli ultimi dati dicono che 37.000 profughi sono entrati in Rwanda e Uganda mentre 30.000 si sono trasferiti nel Sud Kivu. Più di 200.000 persone sono arrivate a Rutshuru.

Queste le informazioni ufficiali, ma in realtà si parla di molte più persone in fuga. Nei campi profughi (regolari e non) sorti in vari villaggi, si propagano malattie e lo stato di salute della popolazione continua a peggiorare
. Tutto ciò si aggiunge alla povertà estrema in cui la gente già viveva. Le Forze armate della Repubblica Democratica del Congo  stanno combattendo su due fronti: a Loufu, nei territori di Lubero contro un’alleanza di gruppi armati locale e le Fdlr (Forze democratiche di liberazione del Rwanda); a Rutshuru contro il movimento del M23 (23 Marzo). In tutti e due i casi le autorità congolesi accusano il Rwanda di manipolare i gruppi armati. È ripreso anche il conflitto tra le Fardc e i Mayi-Mayi nel Sud del Kivu. In una situazione così precaria e rischiosa anche l’azione delle forze umanitarie diventa difficile: non sempre riescono ad accedere ai profughi e ai civili residenti nei territori in conflitto.

Militari ribelli del movimento M23 nel Nord del Kivu, vicino al confine tra la Repubblica democratica del Congo e l'Uganda. Foto Reuters.
Militari ribelli del movimento M23 nel Nord del Kivu, vicino al confine tra la Repubblica democratica del Congo e l'Uganda. Foto Reuters.

Un triste esempio dell’ingiustizia di questa guerra assurda si è presentato l'altro giorno al Centro Don Bosco Ngangi di Goma. Nel pomeriggio di ieri sono stati portati da Cicr (Comitato internazionale della Croce rossa) due bambini accompagnati dal loro papà. La famiglia viveva a Ufamando Biriko un villaggio situato tra Massisi e Walikale. In quel territorio continuano gli scontri tra Fdlr e Raiamutomboki (movimento di congolesi sorto per difendere la Repubblica democratica del Congo dalle Fdlr). La famiglia (moglie, marito e 4 bambini) abitava lì. Dalla loro casa hanno iniziato a sentire dei colpi di arma da fuoco. Il papà è subito uscito per andare ad informarsi in paese sulla situazione. Dopo pochi minuti l’uomo ha sentito sparare dietro di lui. Di corsa è tornato a casa ma l’edificio era già in fiamme, la moglie e due figli a terra, morti, uccisi a colpi di macete e lance appuntite. Gli altri due bambini vivi ma feriti e in stato confusionale, hanno assistito al massacro della madre e dei fratelli e si sono salvati per puro caso.

La Monusco (United Nations organization stabilization mission in the Democratic republic of the Congo) ha recuperato la famiglia e l’ha portata all’Ospedale di Ndosho a Goma. All’ospedale sono stati curati ma non sono potuti tornare a casa perché in quei territori stanno continuando i combattimenti. La Croce Rossa venuta a conoscenza della situazione ha chiesto al Centro Don Bosco di prendersi cura della famiglia finché la situazione securitaria non sarà ristabilita. Sono arrivati quindi al Centro e sono stati accolti da un nostro assistente sociale. Dopo l’ascolto e la raccolta di informazioni, abbiamo dato loro un posto dove alloggiare.

Giulia Cavalletto, volontaria del Vis
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