"Laggiù, se avevi dubbi di fede, ti passano"

Intervista a Paolo Rumiz. Sulla sua prima volta in Africa nera, sui "profeti dell’incarnazione del messaggio cristiano". E su quella fede nella Croce che da secoli scorre lungo il Nilo.

15/05/2011
Paolo Rumiz (Foto: Rumiz/Monika Bulaj
Paolo Rumiz (Foto: Rumiz/Monika Bulaj

«Perché è un libro per me importante? Primo, perché ho conosciuto Medici con l’Africa-Cuamm.  Secondo, è stata la conferma, a distanza di quasi 15 anni dalla fine della guerra del Balcani, di qunto mi fece notare un prete vicentino, Giovanni Sandonà, oggi alla Caritas Triveneto».

- Cosa ti disse, Rumiz?

«Mi disse: “Quello che vedi qui, nei Balcani, ti fa capire cosa sta accadendo in Italia. Questi volontari, che si spendono e rischiano per portare aiuto, provengono dalla stessa terra in cui prospera la Lega”».

- Quale conclusione ne hai tratto?

«La xenofobia e la pulsione terzomondista coabitavano – e coabitano – negli stessi luoghi, talvolta nelle stesse famiglie e nelle stesse persone. Insomma, c’è chi va ad aiutare i poveri africani, e poi è leghista in casa sua».

Paolo Rumiz, scrittore, giornalista, inviato di Repubblica, non intende trarre facili conclusioni, né “spiegare” la contraddizione. La registra e la descrive, da buon cronista. E forse per questo esce ancor più stupito dallo spessore umano e dalle motivazioni degli uomini e delle donne dell’Ong padovana che ha conosciuto sul campo, in Uganda e in Sud Sudan.

«Il Cuamm», aggiunge, «questi profeti dell’incarnazione del messaggio cristiano, viene dagli stessi luoghi che hanno reso rigogliosi il leghismo e le sue derive xenofobe. All’inizio, volevo fare un libro su questo: quali sono le radici comuni di questa forza missionaria laica e del peggio del Veneto? Là, a Nord-est, c’è il meglio e il peggio dell’ex Veneto bianco».

- E quindi?

«È quasi un mistero teologico. Però, mi sono convinto di una cosa: le radici comuni sono nella parrocchia. Il terreno comune è quello».

- Ma il libro non è solo questo…

«No. È che mi ci sono appassionato. Anche perché le persone che ho conosciuto in Africa, cooperanti ma non solo, sono persone incredibili. Vogliamo parlare del vescovo di Rumbek, Cesare Mazzolari? C’eravamo conosciuti in Italia, anni fa. Abbiamo cercato di rivederci, in Sud Sudan. È partito per venirmi incontro e non c’è riuscito. Sai perché? Perché è rimasto impantanato con la macchina nelle impossibili piste sterrate sudanesi, in mezzo a una fila interminabile di camion. Nel libro ho annotato: “Mi accorgo che da una ventina d’anni non incontro più in Italia vescovi capaci di sporcarsi nei pantani e nella polvere del mondo”».

- È stata anche la tua “prima volta” nell’Africa subshariana. Com’è stata?

«Sono partito controvoglia. In effetti, era la prima volta che andavo nell’Africa nera, e mi considero vecchio per le “prime volte”. E invece è un’esperienza che mi ha dato i brividi. Avevo già visto i cristiani d’Egitto e l’Etiopia. In quei viaggi avevo avuto l’impressione che il cristianesimo non fosse solo una crosta recente portata dai missionari, ma fosse qualcosa di antico, che tanto tempo addietro aveva forse navigato lungo il Nilo».

- Questo viaggio te l’ha confermato?

«Di più. Dopo aver visto i templi etiopi di Lalibela e i monasteri copti d’Egitto, i cristiani autoctoni di Turchia o le messe celebrate oltre il circolo polare artico in Russia, fare questo viaggio mi ha fatto ritrovare le stesse atmosfere e la stessa carica simbolica. Mi ha emozionato scoprire questo cristianesimo longitudinale, da Nord a Sud. Ritrovi una realtà che ha avuto, e ha, una forza spaventosa fin da secoli fa. È molto più forte del cristianesimo latitudinale, delle aree temperate. Là, nell’Africa nera, la croce mantiene tutta la sua forza simbolica, come albero della vita. Il messaggio cristiano laggiù è stato davvero un “big bang”. Si parla spesso della velocità della penetrazione moresca, ma non si ricorda mai la potenza della penetrazione della croce. Fin dove giunse, lungo il percorso della Regina di Saba? Fino a dove arrivò, nei secoli passati, lungo il Nilo bianco e il Nilo azzurro?»

- Nel libro hai scritto: “Tra la morte e la vita c’è un diaframma come una zanzariera”.

«Già, è così. Come all’estremo Nord, tocchi con mano questa forza dirompente della Croce, e del sentire l’avvicendarsi della vita e della morte con una forza straordinaria della vita che si riafferma sulla morte. È una sensazione che mette i brividi. In realtà come quelle del Sudan o dell’Uganda, se avevi qualche dubbio sulla fede, ti passa subito».

Luciano Scalettari
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