Messico, tra gli invisibili crocifissi

Padre Alejandro Solalinde ha 66 anni, di cui 35 vissuti come prete. Per la sua opera a favore dei migranti ha subito arresti, violenze, minacce di morte. Ecco il suo racconto.

29/04/2011
Un gruppo di migranti provenienti da Paesi dell'America Latina, bloccati in Messico (foto: Ap).
Un gruppo di migranti provenienti da Paesi dell'America Latina, bloccati in Messico (foto: Ap).

Difende i poveracci che finiscono vessati in Messico, dopo aver abbandonato i propri Paesi sognando di entrare prima o poi negli Usa, intramontabile mito d'affrancamento sociale e di prospertià economica. Padre Alejandro Solalinde, sacerdote cattolico, vive il Vangelo della carità senza tregua e senza sconti. Rischiando di persona.

«Secondo uno studio della Commissione nazionale dei diritti umani messicana», afferma padre Solalinde, «nel 2009, sono stati sequestrati 9.758 migranti, in soli sei mesi. Nel 2010, 11.333. Il fenomeno è in crescita. A ognuno di loro estorcono tra due e tremila dollari. Le estorsioni avvengono così: le bande criminali rapiscono dai treni 30 o anche 50 persone alla volta. Li rinchiudono in ranch. Li terrorizzano, li bastonano, stuprano le donne. Si fanno dare i numeri di parenti e poi ingiungono loro di mandare i soldi per liberarli. Sono criminali senza scrupoli: fanno tratta di persone, traffico di organi, sfruttamento sessuale».


Messico. Un gruppo di migranti provenienti da vari Paesi dell'Amerfica Latina tentano, inutilmente, di proseguire il loro viaggio verso gli Usa sui tetti di carrozze ferroviarie (foto: Ap).
Messico. Un gruppo di migranti provenienti da vari Paesi dell'Amerfica Latina tentano, inutilmente, di proseguire il loro viaggio verso gli Usa sui tetti di carrozze ferroviarie (foto: Ap).

Oggi, padre Alejandro è diventato un punto di riferimento. «Poco per volta ho guadagnato la fiducia dei migranti», spiega. «Li andavo a cercare, portavo da mangiare, li portavo con me al rifugio». Anche oggi, questo missionario degli immigrati opera alla stessa maniera: quando arrivano i treni, vi sale, saluta i migranti, cerca di farci conoscenza, li accoglie al rifugio. «Insieme con i miei collaboratori controlliamo che non abbiano armi e droga, e poi vengono da noi», aggiunge. «Se hanno subito violenze li aiutiamo a denunciarle. Se c’è il nostro appoggio prendono coraggio. Se non li aiutiamo vengono rimpatriati senza permettere loro di denunciare ciò che hanno subito. E senza rispettare nemmeno il diritto di non essere espulsi».

Il fenomeno di migrazione verso gli Stati Uniti ha avuto punte elevatissime: tra il febbraio 2007 e l’ottobre 2008 l’organizzazione di padre Alejandro ha contato 65.500 migranti. «Dopo il flusso è diminuito», sottolinea. «Oggi sono mediamente 4.000 al mese. In genere rimangono nel rifugio due o tre giorni, per poi proseguire verso la frontiera statunitense. Come le stazioni di una Via crucis…», aggiunge amaramente.

Padre Alejandro Solalinde (foto:Ap).
Padre Alejandro Solalinde (foto:Ap).

All’inizio, l’azione pastorale di Padre Solalinde aveva provocato una certa ostilità da parte della popolazione locale. «Adesso sempre meno», dice. «La gente sta capendo che non sono violenti, né pericolosi. La Conferenza episcopale messicana ci appoggia ed è d’accordo con la nostra azione. Ciò di cui abbiamo bisogno è di avere maggiori risorse. Per questo cerchiamo di far conoscere alla comunità internazionale la situazione drammatica che vivono i migranti. Con più risorse possiamo assistere e tutelare un maggior numero di persone».

«L'emigrazione», conclude il padre messicano, «è un fenomeno planetario frutto di un sistema economico ingiusto che non garantisce lo sviluppo di tutti. Ma per noi cristiani è anche una chiamata di Dio alla conversione, non solo pregando, ma anche cercando la giustizia e praticandola. Dobbiamo tornare ai più vulnerabili. Guardando passare i migranti, vedo Gesù in loro. Allora dico a me stesso, ma anche a tutti i cristiani che è ora di tornare a Cristo vivo, Dio di tutti. E dico alla Chiesa cui appartengo, la Chiesa cattolica, che è il momento di uscire dalle sacrestie, di avvicinarsi a chi è più vulnerabile e di mettersi al suo servizio. Meno culto e più azione. Non possiamo più restare indifferenti di fronte a certe ingiustizie».

Luciano Scalettari
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