21/03/2012
Il Decimo Rapporto ha posto l’attenzione sui modi in cui oggi la famiglia viene ridefinita, affrontando la questione sotto tutti i profili, sociale, psicologico, demografico, culturale e giuridico.
Ha proposto di ri-conoscere la famiglia, nel senso di conoscerla ex novo, mediante un insieme di criteri che esplicitano, in via pratica e non dogmatica, il suo valore sociale aggiunto per la persona e la società.
Cioè a dire la capacità della famiglia di produrre quel capitale sociale primario, fatto di relazioni di fiducia, cooperazione e reciprocità, che nessun’altra forma sociale può generare.
Il messaggio è stato largamente frainteso, persino dall’allora Ministro italiano per la famiglia (il primo Ministro della Repubblica con delega esplicita alla famiglia) on. Rosy Bindi, che ha letto questo Rapporto come un disconoscimento delle sue proposte di legalizzare i cosiddetti “diritti dei conviventi”, tema che non riguardava questo Rapporto, volto a mettere in luce le specificità e la insostituibilità della famiglia.
La nostra tesi è stata argomentata sulla base di due criteri prettamente laici: la distinzione fra diritti individuali e diritti della famiglia ex art. 29 della Costituzione, e il fatto sociologico che, poiché la famiglia fondata sul matrimonio assume maggiori responsabilità, è giusto ed equo attribuirle maggiore considerazione (non favori o privilegi!) nei riconoscimenti sociali. Questi argomenti sono stati ripresi da varie parti. Per esempio, il 18 giugno 2011 li ha utilizzati il neosindaco di Bologna Virginio Merola, che si è visto subito coperto di insulti e critiche feroci da parte dei movimenti lgbt (lesbiche, gay, bisex, trans), a cui ha risposto ritrattando tutto ciò che aveva detto due giorni prima e dichiarandosi favorevole all’approvazione dei matrimoni gay, all’equiparazione giuridica fra tutte le forme possibili di coppie, accettando che i diritti della famiglia siano ridotti ai diritti di cura di altre persone (ma quali?), e così via, con la giustificazione che tutto concorre al bene comune (sic!). Certamente riconoscere gli impegni di cura che una persona si assume verso un’altra persona è meritevole di considerazione, ma perché confonderli con gli impegni di fare una famiglia?