Torino, dalla Fiat all'incubatore delle tecnologie innovative

23/04/2012
Massimiliano Ceaglio (in piedi), coordinatore dell’I3P Incubatore Imprese Innovativo del Politecnico di Torino, con i fondatori della start up "SportSquare" (Paolo Siccardi-Sync)..
Massimiliano Ceaglio (in piedi), coordinatore dell’I3P Incubatore Imprese Innovativo del Politecnico di Torino, con i fondatori della start up "SportSquare" (Paolo Siccardi-Sync)..

Per le start up gli "incubatori" rappresentano una protezione. Nel settore dell’Innovation Technologies sono molto diffusi. E la definizione di "incubatore" dà spazio all’immaginazione: un termine che evoca scenari futuristici, laboratori scientifici all’avanguardia, studiosi alle prese con chissà quali nuove sperimentazioni, luoghi top-secret.

Eppure sembrerebbe non esserci niente di tutto questo in uno degli «incubatori» più conosciuti d’Italia, presente a Torino: si chiama I3P Incubatore Imprese Innovativo del Politecnico di Torino. Un luogo, e uno spazio, dove decine di giovani imprenditori si rifugiano, per così dire, per poter portare avanti idee progettuali non solo legate all’informatica ma anche alla meccanica, alla fisica, alla chimica e alla medicina. Qui le nuove aziende pagano un affitto, ma si tratta di prezzi molto bassi. Quello che è offerto gratuitamente all'inizio, prima che l'azienda si costituisca, sono tutti i servizi necessari per avviare l'impresa, quali stesura del Business Plan, supporto per la ricerca di finanziatori e networkimg.

«Un’iniziativa per essere di successo deve poter procurare un fatturato di almeno 1 milione di euro l’anno», conferma senza mezzi termini Massimiliano Ceaglio, coordinatore dell’incubatore digitale di Torino. Al momento, nell'I3P Incubatore Imprese Innovativo del Politecnico di Torino sono attive una quarantina di aziende. Ma in 12 anni di attività da questo incubatore sono passate, in totale (comprese le 40 attuali), 140 aziende. Stando a dati del 2010, il fatturato globale dell'I3P è stato di circa 40 milioni di euro per circa 120 aziende.

«Tre sono le possibilità», sintetizza Ceaglio: «L’azienda può andar bene, chiudere oppure essere venduta dopo aver ricevuto l’offerta di un concorrente». Ed è storia di questi giorni l’acquisto di Instagram da parte di Facebook: un programma che tramite alcuni filtri rende del tutto professionali le foto amatoriali. «Instagram fatturava “zero” – dice Ceaglio - eppure è stata acquistata per 1 miliardo di dollari, questo perché il programma è riuscito a ottenere un seguito di 31 milioni di utenti. Ma tutto questo è accaduto negli Stati Uniti. Però anche a Torino, all'interno dell'incubatore I3P, ci sono casi di acquisizioni di successo: per esempio, la Beyond Trust di Marco Peretti, un giovane imprenditore originario di Ivrea, con studi da informatico in Scozia e in Belgio; dall’89 al 2006 vive e lavora in Lussemburgo dove inizia la sua carriera di serial entrepreneur, cioè di fondatore seriale di imprese: BeyondTrust, infatti, è la terza azienda che crea». 

Per molti giovani informatici riuscire a vendere la propria idea con cifre da capogiro, come accaduto per Instagram, potrebbe essere il massimo. Un aspetto che svela molto dell’approccio delle nuove iniziative imprenditoriali: non più aziende destinate a fare la storia di una famiglia, a essere trasferite di padre in figlio, ma che nascono anche con lo scopo, dichiarato, di essere vendute in poco tempo. Eppure Ceaglio assicura sull’aspetto «eco», pulito, della filosofia dell’incubatore di cui fa parte: «Su 140 aziende solo quattro sono state acquistate, 18 hanno chiuso, altre continuano normalmente il loro lavoro e comunque è la stessa crisi che genera nuove opportunità, questo perché una start up comunque parte sempre da zero».

                                                                                                   Romina Rosolia

Dossier a cura di Pino Pignatta
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