21/03/2012
Di fronte a questo quadro – che poggia
sull’assioma implicito ma efficace
del diritto al godimento individuale,
nutre un individualismo esasperato e
ostacola la costruzione di rapporti che
non siano di strumentalità, violenza, o
indifferenza – che la crisi economica
rende sempre più manifesto, occorre
prendere atto che la strada intrapresa
va cambiata. Ce lo ricorda, ormai quasi
quotidianamente, Benedetto XVI
che insiste sulla necessità di lavorare
per un nuovo modello di sviluppo. Da
dove partire dunque se non dalla triade
lavoro, festa, famiglia?
La famiglia, custode premurosa del
legame tra le generazioni e fedele interprete
delle esigenze dell’umano, è
un luogo di resistenza nei confronti
di queste derive che tendono a schiacciarla.
La crisi della famiglia – come
ogni crisi, un momento di “separazione”,
“rottura”, ma anche decisione – è
al tempo stesso occasione per la sua rinascita.
Come dimostra il fatto che,
nonostante le potenti forze della propaganda
della libertà assoluta, molte
persone continuano a intuire e a praticare
la famiglia come un bene incommensurabile
che va protetto e curato.
E d’altra parte, sono ormai numerosi
i modelli di famiglia allargata
o ricostituita che provano a trasformare
le ragioni della sua crisi in occasioni
per inventare nuove forme di convivenza
e convivialità.
Partire dalla famiglia significa riconoscere
che l’umano ha le sue esigenze
e i suoi tempi. Dalla famiglia si riconoscono
i bisogni dei bambini, dei
malati, degli adolescenti, degli anziani.
Essa “baricentra” sia il lavoro sia la festa in una prospettiva che non è
strettamente individualistica. Col suo
contributo diventa possibile contrastare
il “regime di equivalenza generalizzata”
che cancella le distinzioni – comprese
quelle tra tempo feriale/tempo
festivo, lavoro/tempo libero, tempo
sacro/tempo profano – in quanto
considerate limitanti rispetto alla possibilità
di attribuire qualunque significato
possibile ai diversi momenti, e
quindi lesive della libertà (intesa riduttivamente
come possibilità di fare
quello che piace o si ha voglia di fare).
Rimettere al centro dell’attenzione
la famiglia significa, in questo senso,
riuscire a rimettere in discussione
il modo in cui il lavoro e la festa vengono
definiti nell’attuale modello di sviluppo.
Vuol dire trovare un punto di
riferimento sicuro per liberare questi
ultimi due ambiti espressivi dalle riduzioni
e derive che hanno assunto nella
contemporaneità, andando a detrimento
anziché a sostegno della famiglia,
e cominciare a rigenerare il senso
più autentico di questi due momenti.
Da un lato l’impegno e la dedizione,
che comportano non solo l’espressione
di sé e la strumentalità, ma anche
la capacità di sacrificio (sacrum facere)
– che include anche il saper far
fatica per poter dare valore e che non
può essere, se non artificialmente e
ideologicamente, contrapposto alla
realizzazione di sé; dall’altro la gioia
che non è puro intrattenimento o ricerca
ossessiva del godimento, ma soprattutto
riconoscenza e riconoscimento
(di un’interdipendenza, ma
anche di una dipendenza, di un legame
di gratitudine che innesca processi
di restituzione non necessariamente
simmetrica), e per questo apertura
all’“altro” e all’“Altro”, al “tu” che ci
sta di fianco e al “Tu” che ci costituisce
come esseri pienamente umani,
chiamandoci suoi figli.
Chiara Giaccardi
e Mauro Magatti