Usa, un porto per tutti i rifugiati

Gli Stati Uniti ogni anno accolgono un numero di rifugiati superiore a quello di tutti gli altri Paesi del mondo. Merito di un sistema funzionale che favorisce l'integrazione.

La vita di un rifugiato in America

12/07/2012

Da Washington - Ci sono diversi modi, tutti difficilissimi, per essere accolto come profugo in America. Perlopiù le persone costrette ad abbandonare le loro case e il loro Paese si rivolgono all’Alto Commissariato dell’Onu. Altre presentano personalmente domanda alle varie ambasciate americane. Altri ancora sono segnalati al Governo americano dalle varie NGO, le organizzazioni non governative che operano in Paesi in difficoltà.

Quando una persona, o un nucleo famigliare è segnalato all’attenzione degli americani, scatta una rete di controlli di sicurezza che terminano con l’intervista dell’interessato e il suo dossier passa nelle mani di un funzionario dell’Homeland Security. Se non ci sono intoppi il rifugiato è poi assegnato a questo o quello Stato della federazione americana dove 10 Volag (Voluntary Agency) hanno in appalto l’accoglimento e integrazione dei rifugiati. La scelta dello Stato di destinazione del rifugiato varia da un’eventuale richiesta dell’interessato che ha qualche membro della famiglia già in America o dal mestiere che può svolgere.

In Virginia la chiesa luterana (LIRS Lutheran Immigrant and Refugee Servces) svolge un eccellente lavoro di accoglimento e integrazione dei profughi. “L’arrivo di un profugo”, spiega una funzionaria, “è un affare complesso. Noi abbiamo a disposizione 90 giorni per integrarlo completamente. Sulla carta sembrano tanti, in realtà sia noi che loro corriamo ventre a terra”.

Il tutto inizia con l’accoglimento in aeroporto dove un funzionario del Lirs che parla la lingua delle persone in arrivo, li riceve e li accompagna nella casa di uno dei tanti volontari dove è stata preparata una cena con cibo tipico del Paese del profugo. All’ indomani i nuovi arrivati sono trasportati al quartiere generale dell’LIRS di Falls Church, a venti chilometri da Washington, dove un funzionario e un interprete li sottopongo a un briefing di tre ore in cui è spiegato loro che avranno diritto a un contributo temporaneo di 1150 dollari (915€) per persona, compresi i bambini, al mese. Poi viene fatta compilare loro la richiesta della carta verde (permesso di soggiorno e lavoro) e, con l’ aiuto del funzionario del Lirs, il capo famiglia esamina le possibilità di lavoro per rendersi conto di come e quando può ragionevolmente ambire a un posto.

Un altro compito che gli è dato immediatamente è quello di cercare casa per diventare nel più breve tempo possibile autosufficiente. Non appena il rifugiato trova casa il Lirs fornisce scorte di cibo, generi di prima necessità e detersivi per alcune settimane. Nel briefing del secondo giorno i rifugiati sono sottoposti a un controllo medico, compilano le domande per l’assistenza medica gratuita che in America spetta agli indigenti e per l’iscrizione alla scuola dei figli.

In pratica secondo la tabella di marcia del Lirs i nuovi arrivati devono essere in grado entro cinque giorni dall’arrivo d’avere le idee chiare su come diventare autosufficienti, entro sette d’aver presentato domanda per il permesso di lavoro, entro dieci d’aver imparato a muoversi con i mezzi pubblici per recarsi all’agenzia di collocamento, alle varie interviste con datori di lavoro e svolgere le pratiche burocratiche senza chiedere, nel limite del possibile, aiuto ai volontari del Lirs. Entro 30 giorni devono aver fatto tutte le vaccinazioni necessarie e aver cominciato, se non a lavorare, almeno l’addestramento per un posto.

Mariuccia Chiantaretto
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