27/12/2011
Retorica europeista a parte, arrivati al giro di boa un bilancio di 10 anni di euro va comunque fatto. Partendo dalle tasche dei cittadini. «È una verità assoluta che la moneta unica ha fatto aumentare i prezzi», sbottò nel 2004 l’ex premier Silvio Berlusconi durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi. Tutti i torti, in effetti, non li aveva.
Dal 2002, infatti, secondo le associazioni dei Consumatori che hanno messo a confronto i prezzi del 2001 con quelli del 2011 gli aumenti medi sono stati pari al 72 per cento, con punte del 300 per cento per un cono gelato e del 200 per una penna a sfera o una confezione di caffè.
Senza contare l’aumento di alcuni beni di consumo quotidiano come il biglietto per l’autobus, passato da 1.500 lire a 1,50 euro, con un aumento del 93,6 per cento. O le commissioni per pagare un bollettino postale: nel 2001 si pagava 1.500 lire (77 centesimi in euro). Oggi si paga 1 euro e 10 centesimi, il 42 per cento in più. Per prelevare dal bancomat, invece, nel 2001 si pagavano 3.300 lire (1,70 euro). Adesso siamo arrivati a 3 euro, vale a dire il 76 per cento in più. Il salasso maggiore si è verificato per colazione e snack. Dieci anni fa bastavano 2.300 lire (1,19 euro) per prendere cappuccino e brioche al bar. Adesso si spendono 2 euro e 20 centesimi. In percentuale, un aumento dell’84 per cento.
È andata peggio per il tramezzino: costava 1.500 lire nel 2001 e adesso si spendono, in media, 2 euro e 30 centesimi, il 192 per cento in più.
Spostarsi in nave costa il 147 per cento in più rispetto a dieci anni fa. In crescita anche il costo del trasporto aereo (+61 per cento) e sui treni (+46 per cento).
Costi più che raddoppiati anche per andare al cinema. Spendevamo 13mila lire in passato (6,71 euro) per un biglietto intero. Oggi servono 12 euro per accomodarsi in poltrona, il 78 per cento in più. Emblematico, da questo punto di vista, il comportamento dei prodotti derivati dai cereali, pane e pasta in testa. Il loro indice, mantenutosi al di sotto dell’aumento generale del costo della vita fino al 2007, è in realtà salito nei dieci anni di euro del 33 per cento (dieci punti in più dell’inflazione) proprio a causa dell’esplosione della bolla dei cereali.
Una volta rientrata l’emergenza, però, il prezzo di pane e pasta non è
ridisceso, come ci si sarebbe potuto aspettare. Una tipica dinamica
speculativa, insomma, che è ricaduta nelle tasche dei cittadini, andando
invece a gonfiare le borse dei produttori e, soprattutto, degli
intermediatori finanziari. Tutta colpa della nuova moneta? No. La
responsabilità maggiore è di chi, dalle Autorità di garanzia ai vari
governi, non ha vigilato abbastanza per tutelare il portafogli dei
cittadini.
Secondo una ricerca dell’associazione Altroconsumo, il rialzo dei prezzi
ha provocato una diminuzione del potere d’acquisto di circa il 7 per
cento a famiglia. Tra le cause, l’inflazione crescente, l’aumento del
prezzo dei cereali, i rincari nelle bollette e nei trasporti: settori
vitali in un bilancio familiare.
Un vero e proprio salasso, invece, gli aumenti sulle bollette. La tassa
sui rifiuti è cresciuta in media del 33 per cento, quella dell’acqua
addirittura del 52 per cento. I premi Rc auto sono cresciuti a dismisura
in città come Napoli (+122 per cento) e Palermo (+77 per cento).
Secondo Altroconsumo, concorrenza e apertura al mercato sono state le
uniche soluzione in grado di arginare la corsa al rialzo dei prezzi. Il
settore farmaceutico ad esempio, grazie alla distribuzione alternativa,
ha garantito ai consumatori una spesa media più bassa del 28 per cento.
Viceversa, un settore refrattario alla concorrenza come quello dei taxi
ha fatto registrare un impennata dei prezzi delle tariffe del 34 per
cento. Al boom del costo degli alimentari, c’è stato un crollo di quello
dei prodotti tecnologici, come telefonini (-73 per cento) e computer
(-64 per cento).
Antonio Sanfrancesco