17/10/2011
«Generalmente sono ottimista e anche adesso lo rimango. Ma ora tutti abbiamo delle preoccupazioni, che il Paese possa prendere una piega autoritaria, o magari islamista, che tutto il lavoro fatto non serva a nulla. E chiaramente la preoccupazione che sovrasta le altre ha un nome ed è Consiglio Militare». Seduta a un tavolino del centrale caffè Groppi, al Cairo, Khouloud Bidak dà voce ai suoi timori, di fronte ai segnali preoccupanti che in questi giorni arrivano dall'Egitto.
Trent'anni, capelli corti e niente velo, Khouloud è una dei tanti giovani che con le loro proteste a febbraio di quest'anno hanno portato alla caduta di Hosni Mubarak. L'entusiasmo delle giornate di piazza Tahrir non le è venuto meno, ma a questo si è aggiunto la consapevolezza che la strada per al stabilità è lunga e pericolosa. E come lei la pensano in tanti, specie ora che il Paese si trova alla vigilia di un appuntamento decisivo. Tra poco più di un mese milioni di egiziani sperimenteranno qualcosa che non vedevano da una trentina d'anni, ovvero delle elezioni libere.
Il Consiglio Militare del maresciallo Tantawi, che da febbraio guida la transizione, ha fissato la data delle consultazioni per la camera bassa del parlamento al 28 novembre. Dal 29 gennaio invece si terranno le votazioni per la Shura, la camera alta. Proprio in questi giorni i primi candidati stanno cominciando a registrarsi e il timore espresso da più parti è che i membri del vecchio Partito Nazionale Democratico di Mubarak tentino di riciclarsi nelle nuove istituzioni.
Nel frattempo i segnali che arrivano dalla strada sono inquietanti. Ultimo in ordine di tempo quello di domenica nove ottobre, quando una manifestazione organizzata principalmente da cristiani copti per protestare contro la distruzione di una chiesa nell'alto Egitto è stata repressa nel sangue. Le circostanze degli incidenti sono ancora tutte da chiarire, ma sempre più testimonianze parlano di un attacco deliberato dell'esercito e della polizia nei confronti dei dimostranti. Il risultato, in ogni caso, è che più di trenta persone hanno perso la vita.
In questo Paese di 82 milioni di abitanti, con un'età media di 24 anni, ormai è chiaro a tutti che la rivoluzione è solo il primo passo di un lungo cammino. E ora all'instabilità politica rischia di saldarsi, nuovamente, quella economica. L'Fmi nel suo ultimo rapporto sul Paese ha dipinto un quadro preoccupante: la crescita rallenta, il debito pubblico sta raggiungendo livelli di guardia e gli investimenti stranieri non ripartono. Nel frattempo l'inflazione rimane elevata, il turismo è crollato e i salari minimi restano bassi, intorno ai 700 pounds egiziani (circa 80 euro al mese). Il sogno egiziano non è svanito, ma forse, per realizzarlo, ci vorrà più tempo del previsto.
Federico Simonelli