17/10/2011
Uno sciopero dei lavoratori del trasporto pubblico al Cairo.
Per trent'anni non hanno praticamente conosciuto rappresentanza sindacale, condannati ai diktat di un sindacato ufficiale, l'Etuf, corrotto e controllato dal gGoverno. Con la caduta del regime e lo scioglimento dell'Etuf, però, i lavoratori egiziani hanno cominciato a organizzarsi e si preparano ad una nuova alba, in qualche modo a una rivoluzione nella rivoluzione.
Dai medici agli insegnanti, dagli autisti ai lavoratori portuali, in tantissimi sono scesi in piazza negli ultimi mesi, per chiedere maggior sicurezza, più rappresentanza, migliori condizioni salariali. Gli stipendi in Egitto rimangono infatti bassi: da gennaio il minimo dovrebbe essere fissato intorno agli 80 euro al mese. In un Paese dove le manifestazioni di piazza sono state vietate per lungo tempo e i sindacati indipendenti sono stati spesso considerati nemici dello Stato, una nuova coscienza dei lavoratori però ha cominciato a svilupparsi.
Tempo fa il ministro del Lavoro egiziano ha pubblicato un documento in cui spiegava che avrebbe al più presto promulgato una legge per rendere definitivamente libere le associazioni dei lavoratori. La legge per il momento non si è vista, ma l'effetto immediato dell'annuncio è che una serie di nuovi sindacati ha cominciato ad organizzarsi. Dalla caduta dell'ex raìs ne sono nati almeno 130.
«Siamo all'anno zero da questo punto di vista - mi spiega in un ufficio poco distante da Piazza Tahrir Kamal Abbas, 56 anni, uno dei più noti attivisti egiziani per i diritti dei lavoratori, finito in carcere a più riprese negli scorsi decenni - le opportunità sono molte e i rischi altrettanti». Abbas, con il suo Ctuws (Center for trade unions and workers service), una Ong che si batte per i diritti dei lavoratori, da più di vent'anni fornisce servizi, assistenza legale, cure. Ora sta giocando un ruolo centrale nella formazione dei nuovi movimenti sindacali.
«La situazione del lavoro in Egitto - continua Abbas - è molto complicata e si è sedimentata durante gli anni. C'è ad esempio un abuso di contratti a tempo determinato, e nel settore privato questo si unisce ad una estrema facilità di licenziamento. I salari sono bassi. Per non parlare delle condizioni di lavoro, spesso al limite della decenza. Manca inoltre una contrattazione collettiva, per cui c'è scarso dialogo tra datori di lavoro, sindacati e lavoratori. Ma il problema forse maggiore è la sfiducia che in questi decenni i lavoratori hanno maturato nei confronti dei sindacalisti, visti come pedine nelle mani dello Stato, corrotti, incapaci a difendere i diritti dei lavoratori. Una sfiducia che sarà difficile da sgretolare».
Federico Simonelli