Guerriglia Londra, un anno dopo

La Gran Bretagna che festeggia i Giochi ha quasi dimenticato la guerriglia che sconvolse Londra un anno fa, causando 5 morti, 4.000 arresti e centinaia di negozi distrutti.

È tutta colpa della polizia

04/08/2012

Sono diverse le convinzioni sulla guerriglia dello scorso agosto, diffuse da politici e giornalisti, che lo studio del Guardian e della London School of Economics dimostra infondate.

Innanzitutto l’idea che la povertà non abbia giocato una parte, come aveva affermato il Primo Ministro David Cameron, all’indomani dei disordini.

I teppisti erano di solito beneficiari dei sussidi che vanno a chi è senza lavoro e senza casa e i loro figli ricevono i pasti gratis a scuola, un indicatore di indigenza.
Tagliati fuori da qualsiasi aspirazione, i rivoltosi volevano vendicarsi dei maltrattamenti subiti da parte della polizia.

«La polizia è la gang più importante che c’è là fuori», ha detto l’85% degli intervistati. Picchiati nei furgoncini della Metropolitan, la polizia di Londra, incastrati con crimini che non avevano mai commesso, i rivoltosi hanno detto che, lo scorso 6 agosto, per la prima volta, hanno sentito di poter finalmente render pan per focaccia.

Secondo Reading the riots Cameron avrebbe anche sbagliato a dire, in parlamento, che «le gangs hanno promosso gli attacchi» e a lanciarsi su una strategia per combatterle, come reazione alla guerriglia.

Al contrario, dal 6 al 10 agosto, tra le bande di Londra, venne dichiarata una tregua che diffuse tra i teppisti un inebriante sentimento di solidarietà.

«Vedevi nemici diventare amici, anche se soltanto per un giorno», ha detto un intervistato da Reading the riots, «Tutte le bande erano le stesse, tutte insieme».
La polizia che, all’inizio, aveva dichiarato che il 28% di quelli arrestati appartenevano alle gangs, ha ridotto poi la percentuale al 19% e, infine, al 13% per le zone fuori Londra.
«Decisamente le gangs non c’entrano con la guerriglia», dice un ventiquattrenne intervistato da Reading the riots.

«Il governo aveva bisogno di qualcuno da incolpare e questa etichetta “gangs” era comoda», sostiene un ventunenne di Salford, vicino a Manchester.

«Non abbiamo trovato nessuna prova che i siti di social network hanno avuto un ruolo importante nell’incitare e organizzare la guerriglia», sostiene, sul sito di Reading the riots, il Professor Rob Procter, dell’università di Manchester che, insieme a un gruppo di accademici, ha analizzato oltre 2,6 milioni di messaggi su Twitter che parlavano della guerriglia. «Al contrario, abbiamo prove sostanziose che Twitter è stato un mezzo valido per organizzare la pulizia necessaria dopo i disordini».

Del tutto ingiustificata, quindi, la proposta di Cameron che aveva preso in considerazione, lo scorso agosto, l’idea di spegnere Twitter e Facebook.

In realtà gli hoodies cercavano in tutti i modi di evitare di comunicare su forum pubblici che li avrebbero resi riconoscibili, mentre a mandare messaggi su Twitter erano politici, giornalisti e polizia, insieme a milioni di persone, che volevano sapere che cosa stava succedendo. I vandali hanno usato, però, il sistema Blackberry Messenger, che permetteva loro di organizzare incendi e saccheggi senza essere scoperti.




A sinistra, Danni causati dai vandali a Clapham High street l’8 agosto 2011. A destra lo stesso negozio O2, un anno dopo (Chris Jackson/Peter Macdiarmid/Getty Images)).

Silvia Guzzetti
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