"Tutti a Berlino": intervista con la scrittrice Gabriella Di Cagno

03/05/2013

Gli unici che ci superano, fra gli immigrati dall'Unione europea, sono i polacchi, in assoluto i più numerosi. Nemmeno gli spagnoli, che pure nell'ultimo anno sono affluiti a frotte (+24,5%), formano a Berlino una comunità ampia come la nostra. Con un aumento del 13,4%, nel 2012 gli italiani residenti nella città-Stato hanno quasi raggiunto, secondo l'Istituto di Statistica del Brandeburgo, quota ventimila (19.770). Fra i quali, stando agli ultimi dati dell'Ambasciata italiana, 8.700 studenti abbassano l'età media. E se dagli anni Sessanta Berlino è bravissima ad attirare artisti e musicisti, oggi il flusso migratorio dall’Italia s'è fatto più corposo, con giovani in cerca di impiego serio e senza raccomandazione, famiglie attirate dalla qualità della vita e perfino pensionati. Già, perché nella capitale che il sindaco Wowereit ha definito "povera ma cool", lo stato sociale è alto come nel resto della Germania ma l'esistenza scorre a ritmi meno stressanti e a portata di tutte le tasche.

La scrittrice Gabriella Di Cagno, autrice, insieme con Simone Buttazzi, di un manuale per i connazionali che hanno in mente di emigrare, "Tutti a Berlino".
La scrittrice Gabriella Di Cagno, autrice, insieme con Simone Buttazzi, di un manuale per i connazionali che hanno in mente di emigrare, "Tutti a Berlino".

Berlino non ha la finanza di Francoforte, il commercio di Amburgo o l'industria di Monaco. Colpa di una eredità storica legata alla divisione della città, che anche nella zona occidentale ha prodotto seri danni alla produzione e, in seguito, per una riunificazione avvenuta sul piano economico al di sotto delle aspettative. Fatto sta che oggi, più che di soldi, la capitale è ricca di idee. E, fedele alla sua identità basata sulla tensione al cambiamento, è cosmopolita, culturalmente stimolante e in forte espansione urbanistica. "A Berlino c'è quel pizzico di “anarchia” che rende l'atmosfera più distesa rispetto alla Germania tipica, più sul vivi e lascia vivere", afferma Gabriella Di Cagno, 52enne, passata sei anni fa da Firenze all’ex cuore della “Guerra fredda” e autrice, insieme a Simone Buttazzi, di un manuale apposito per i connazionali in procinto di emigrare, "Tutti a Berlino" (ed. Quodlibet, 189 pp., 12 euro) aiuta a muoversi spediti negli uffici pubblici della capitale – con tanto di modulistica riprodotta per non farsi cogliere impreparati nella compilazione – e a superare ostacoli non solo istituzionali. Il vademecum, che a maggio sarà presentato a Milano (per informazioni, http://www.tuttiaberlino.eu), prende in esame ogni aspetto della vita berlinese e lo traduce ai principianti: dalle modalità d'acquisto e di locazione degli immobili alle tasse sul reddito, dalle istruzioni per l'uso dell'assistenza sanitaria alla scelta dell’asilo per i figli. Con in più una serie di indirizzi utili per perfezionare il tedesco, ad esempio, o per sistemare e arredare casa fino a cucinarci, volendo, con gli ingredienti giusti in italiano.

Il capitolo introduttivo si intitola Primi passi in Prussia. È così rigido e burocratico l'ambiente berlinese?
“Qui vige un sistema di regole dove tutto è canalizzato. E vale la pena inserirsi rispettando le procedure a cominciare dall’Anmeldung, ovvero dalla registrazione anagrafica presso le autorità tedesche. Va fatta entro due settimane, è compatibile con la residenza italiana ed è indispensabile per qualunque cosa, dall’apertura di un conto corrente bancario all’affitto di un appartamento. Senza contare che dà accesso al welfare”.

Nel frattempo, finché non ci si iscrive all’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), per le cure mediche vale la tessera sanitaria italiana…
“Certo, perché l’Italia garantisce il rimborso delle prestazioni erogate. Negli ultimi anni, però, i tedeschi si sono fatti diffidenti: il nostro è un Paese in crisi, ritenuto insolvente, e per questo può capitare che i medici anziché accettare la tessera italiana emettano fattura da saldare all’istante. Compiono un’infrazione, per cui ci si potrebbe addirittura rivolgere alla polizia, ma certo è che vivere tutti i giorni con un documento mal visto e dover discutere è molto sgradevole”.

I costi dell’assistenza sanitaria tedesca, però, possono spaventare...
“È vero ma se si ha un’occupazione non sono un problema. Per i dipendenti paga il datore di lavoro insieme al resto delle tasse, mentre per gli autonomi i versamenti corrispondono al 15% del reddito lordo, qualsiasi esso sia, con una quota minima di 150 euro l’anno. E il sistema, oltre a essere ben pensato, funziona con efficienza. Consente di farsi visitare da qualsiasi specialista privato senza obbligo di passare dal medico di base, il quale peraltro non è fisso come in Italia, e senza dover sborsare nulla. Fino a dicembre scorso si pagavano 10 euro di contributo trimestrale agli ambulatori ma a gennaio 2013 è stato abolito e anche per gli esami non esistono ticket, sono gratuiti. Il dentista, invece, non è incluso, ma i conti non sono astronomici e per le cure c’è un contributo della cassa sanitaria. Io, ad esempio, per cinque otturazioni rifatte di recente passando dal vecchio piombo alla nuova malgama ho speso 250 euro. E non ho nemmeno dovuto anticipare la parte di competenza pubblica, perché la differenza che non è a carico del paziente risulta sempre tramite il microchip della tessera sanitaria e viene scalata in automatico dal totale. Un altro elemento positivo è che a Berlino avere un sostegno psicologico non è da ricchi, anzi è piuttosto consueto: lo Stato stanzia appositamente milioni di euro l’anno. E se gli ambulatori pubblici sono strapieni, la cassa sanitaria paga fino a 50 sedute in quelli privati”.

A proposito di sostegni pubblici: ci sono ancora immigrati che, come in Gran Bretagna, approfittano dei sussidi per vivere il più possibile a spese dello Stato?
“Sì, è chiaro che un certo tipo di persona, diciamo poco affezionata al lavoro, qui trova terreno fertile. Negli uffici pubblici, però, ci hanno assicurato, mentre raccoglievamo informazioni per il libro, che i primi a marciarci sono i tedeschi. I berlinesi sono abituati all’assistenzialismo per via di una mentalità che affonda le radici nel dopoguerra, quando tutto per loro era garantito sia a Est che a Ovest. Sono viziati, sinceramente non li invidio. Comunque, accedere ai sussidi adesso è diventato una gara a ostacoli, cercano di sfinirti psicologicamente. Dal 2009, con la grande crisi nel Sud Europa, la maglia degli aiuti statali si è ristretta e, nell’ultimo anno, il governo Merkel ha deciso di bloccare le erogazioni agli stranieri. Un provvedimento per il quale molti si sono rivolti anche al tribunale”.

Oltretutto, trovare un buon lavoro non dev’essere tanto semplice...
“Berlino è immersa nella disoccupazione. Nonostante questo, c’è un afflusso di massa dal Sud Europa di neolaureti e di persone con abilità in ambiti informatici e creativi, in grado di lavorare nel settore molto trainante delle start-up digitali. Fermo restando che gli ingegneri di qualunque branca sono sempre i benvenuti. Poi, le possibilità di impiego, specie in campi meno istituzionali, sono molteplici: collocarsi in fabbrica o nell’amministrazione pubblica è più difficile, perché c’è maggiore concorrenza da parte dei madrelingua, ma se un italiano ha inventiva, di possibilità qui ne ha. Ad esempio, se un educatore dall’Italia vuole venire a Berlino, parlando il tedesco ha la possibilità di lavorare come Tagesmutter, anche se è uomo. Funziona così: tu apri un asilo a casa tua, fino a cinque bambini, e lo Stato ti finanzia. Basta un appartamento normalissimo, con minime misure di sicurezza”.

È sempre così immediato mettersi a lavorare in proprio?
“Le procedure burocratiche per aprire un’attività sono molto più semplici che in Italia. Anche per un caffè o un ristorante, non occorre il budget che servirebbe a Milano, né tantomeno si rischia di essere taglieggiati. Una cosa, quest’ultima, non da poco, dato che la qualità della vita ha a che fare anche con la sicurezza personale e del proprio patrimonio. Investire a Berlino fa sentire entusiasti, perché i rischi sono contenuti e se si è sprovvisti di capitali non è complicato avere sovvenzioni statali. Infatti la città attrae sia le persone che hanno spirito d’impresa sia quelle che in Italia si trovano svantaggiate. Per alcune categorie professionali, come quella degli artisti – nella quale rientrano tutti i mestieri intellettuali –, c’è inoltre a disposizione una cassa sociale che fa da datore di lavoro pagando agli iscritti quasi tutti i contributi pensionistici e metà dell’assicurazione sanitaria”.

Un’altra agevolazione è data dai prezzi degli affitti. In Tutti a Berlino-Guida pratica per italiani in fuga è riportata una quota media a metro quadro di 7,55 euro, corrispondente al luglio 2012, con una punta massima di 12 euro a Unter den Linden...
“Però trovare un appartamento a Berlino adesso è diventato veramente difficile: occorre presentare una mole di documenti, non proprio a portata di mano, per dimostrare che si è in grado di pagarlo. Per questo, in molti approfittano del Nachmieter, un vantaggio insito nei contratti di locazione: si tratta di un subentro, legale, che non richiede nemmeno il cambio d’intestazione. È molto applicato, anche perché i tedeschi vivono perlopiù in affitto e cambiano casa spesso”.

È facile, dunque, per i tanti italiani che investono nel mattone a Berlino procurarsi una rendita tramite locazione?
“Facilissimo. Fino a poco tempo fa mi sono occupata anche di compravendita immobiliare e ho sempre avuto un gran numero di richieste. Fra l’altro, gli italiani comprano per affittare ai connazionali, i quali bypassano così la montagna di documenti che i tedeschi richiedono. È vantaggioso sia per i proprietari sia per gli inquilini, tanto che si è creata una sorta di Little Italy del mercato con agenzie apposite per chi viene dal Belpaese”.

La città è ancora gettonatissima anche da chi compra per rivendere?
“Sì, anche se adesso i prezzi sono aumentati. Le tasse d’acquisto una tantum sono salite negli ultimi quattro anni dal 3,5 al 5% del valore dell’immobile, proprio perché c’è stato un boom di stranieri, specie dal Sud Europa, che sono venuti a comprare qui: lo Stato ha deciso di guadagnarci”.

Tornando agli immigrati, come sono visti gli italiani?
“Quelli che portano con loro uno charme e un curriculum sono assolutamente ammirati e frequentati. Nel mondo intellettuale, essere italiani è solo un plus. Chi arriva con poca istruzione, invece, è visto con diffidenza, specie dai tedeschi che non sono mai stati in Italia e che a loro volta possiedono un bagaglio culturale scarno”.

Si riesce a contrarre amicizie con i berlinesi o è più frequente rimanere nella cerchia degli stranieri?
“I berlinesi sono rari da incontrare. I primi tempi, infatti, per curiosità li cercavo. Adesso ne ho alcuni come amici e tutto sommato sono piacevoli, anche se non aprono casa facilmente, neanche fra loro. La vita sociale si svolge tutta fuori”.

Del resto la città non è cara...
“È vero. Al ristorante, per mangiare bene bastano venti euro; due, in genere, per bere un’ottima birra. In effetti, emigrare qui nel 2013 è una pacchia, lo vorrei sottolineare. Oggi chiunque arriva trova strutture pubbliche che favoriscono l’integrazione con corsi di lingua gratuiti, o quasi, e un welfare che è ampio anche in virtù delle tante presenze straniere. Rispetto agli emigranti degli anni Sessanta, poi, siamo favoriti dai nuovi mezzi di comunicazione e dai voli diretti low cost. E non si può dire che l’Italia ci manchi, perché ce l’abbiamo qui con i negozi e i ristoranti, gli amici, il cinema e i libri in lingua”.

Quali sono, invece, gli svantaggi?
“Clima a parte, comune a tutto il Nord Europa, direi che i rapporti formali tra le persone e la tranquillità della vita berlinese comportano una rarefazione del calore umano e, per noi italiani, specie se veniamo da un luogo pittoresco, c’è anche una certa perdita di appagamento estetico. Berlino è glaciale, disadorna, grigia: qui il buon gusto, l’eleganza e le atmosfere romantiche ce li possiamo dimenticare. Detto questo, di italiani è piena”.

                                                                                                                  Laura Ferriccioli

a cura di Laura Ferriccioli e Pino Pignatta
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