06/08/2010
Il lavaggio di un pellicano completamente imbrattato di petrolio sulla costa della Louisiana.
La consulente del presidente Obama per la crisi del Golfo del Messico ha minimizzato: solo il 26% del petrolio fuoriuscito si
trova ancora nei mari o sulle spiagge, e prevalentemente sotto forma di
palle di catrame.
«Solo???», oseremmo chiedere con una certa dose di preoccupata ironia. Mica poco, commenteranno infatti i milioni di persone che hanno visto in televisione gli spazzini all'opera in Louisiana mentre cercano di ripulire le spiagge da queste palle di aspetto repellente e di natura viscosa, viscosa per l'appunto come il catrame. Quante saranno se si pensa che dagli impianti BP sarebbero fuoriusciti qualcosa come 5 milioni di barili?
“Tutto è andato così bene, ha insistito ancora con trionfalismo la Browner da Washington, grazie al fatto che la risposta della BP , pressata dal nostro governo, è stata aggressiva e veloce. Spinta da noi, la BP non ha lesinato nulla arrivando ad impiegare ben 5.000 tra vascelli, battelli, chiatte e catamarani.”
A lei i dati li ha forniti un'altra donna , Jane Lubchenco , segretaria del Noaa, il “National Oceanic and Athmospheric Administration”, la quale ha anche assicurato che la sua Agenzia continuerà a monitorare il Golfo.
E meno male perché, come lei stessa riconosce, i danni subiti da insetti, pesci , uccelli , soprattutto da uova e da larve, sono difficilissimi per ora da quantificare. Certo il governo è stato pronto a restituire i permessi di pesca lungo le coste. Resta da vedere se il consumatore americano si sentirà ancora attratto da quei prodotti un tempo considerati cibo raffinato e prelibato anche grazie alla leggendaria cucina Cajun che è l' eredità lasciata da queste parti dai francesi.
Soprattutto si vedrà se i dati forniti da Carol Browner resisteranno agli scrutini e alle critiche di tutte le Agenzie ambientaliste indipendenti che già sono all'opera.
Dossier a cura di Ida Molinari